Fuga da Kabul

Micol Flammini

Secondo una valutazione dell'intelligence militare, la capitale potrebbe cadere in un mese e gli americani si preparano a evacuare l’ambasciata. Aumentano le voci di chi ritiene che l'Amministrazione Biden dovrebbe considerare piani alternativi 

Ieri mattina i talebani hanno preso la città di Lashkar Gah, capoluogo della provincia di Helmand, dopo essere entrati giovedì a Herat, Kandahar e Ghazni. L’avanzata si fa sempre più veloce, gli estremisti controllano ormai i due terzi del paese, stanno circondando Kabul e l’ultima valutazione dell’intelligence militare americana suggerisce che la capitale potrebbe cadere nei prossimi trenta giorni, nel peggiore degli scenari. E, se crolla la capitale, l’Amministrazione Biden dà per certo che crollerà anche il governo. Sulla base di queste considerazioni il Pentagono ha deciso di mandare 3.000 marines e altri 4.000 soldati a Kabul e nelle zone circostanti per procedere all’evacuazione dell’ambasciata e  portare via dal paese i cittadini statunitensi. Quello che, secondo le parole del presidente Joe Biden, gli afghani non avrebbero dovuto vivere come un abbandono, adesso sta assumendo le caratteristiche di una vera fuga. La stima dei trenta giorni è uno scenario e gli americani insistono nel dire che la caduta della capitale si potrebbe prevenire se soltanto le forze afghane riuscissero a raccogliere la  determinazione. E’ questo uno dei punti di difesa degli Stati Uniti:  le forze del governo sono superiori  ai talebani per tecnologia e numero, ma non riescono a frenare l’avanzata. 

I negoziatori americani stanno cercando di ottenere dai talebani rassicurazioni sul fatto che l’ambasciata degli Stati Uniti, che anche se evacuata rimarrà aperta, qualora gli estremisti dovessero entrare a Kabul, non verrà attaccata, e ormai sono sempre di più quelli che nei ranghi dell’esercito americano vedono il ritiro dall’Afghanistan come un disonore. Non sarebbe dovuta andare così, nei calcoli di Biden, ma adesso  che ormai non si esclude che Kabul possa cadere con dentro i suoi abitanti e tutti i profughi fuggiti dalle altre città già catturate, c’è anche chi inizia a mettere gli Stati Uniti di fronte all’esigenza di avere un piano alternativo. Il falco repubblicano Lindsey Graham ha inviato una lettera ai leader del Pentagono chiedendo di rivedere la loro valutazione presentata a giugno al Congresso secondo cui la rimozione delle truppe dall’Afghanistan avrebbe comportato soltanto un rischio medio di una minaccia diretta per gli Stati Uniti da parte degli estremisti entro due anni.

 

Il generale David Petraeus, ex capo della Cia, trentasette anni trascorsi nell’esercito, capo dell’operazione militare  in Iraq e  in Afghanistan e  autore della dottrina che porta il suo nome – venticinque punti per spiegare ai soldati come vincere la guerra in medio oriente – aveva criticato già l’idea di un ritiro. Adesso che il collasso è sempre più vicino, ha ricominciato a farlo, usando tutti i microfoni a sua  disposizione. 

In un’intervista rilasciata al Times di Londra ha detto che “lo scenario peggiore a cui si potrebbe assistere è una guerra civile brutale”, simile a quella degli anni Novanta che vinsero i talebani. La guerra è destinata soltanto a peggiorare, ha spiegato il generale: l’America ha fatto degli errori di calcolo imperdonabili. Sarebbe stato più lungimirante pensare anche per l’Afghanistan una situazione simile a quella in Iraq, in cui  Biden ha annunciato il ritiro, ma le truppe presenti dovrebbero rimanere anche se la missione di combattimento si concluderà entro l’anno. Sarebbe stato un  utile  deterrente anche in Afghanistan, dove gli Stati Uniti hanno anche costretto il governo afghano a rilasciare i prigionieri talebani, senza ottenere sostanzialmente nulla in cambio.

Gli Stati Uniti hanno provato a fornire supporto aereo alle forze afghane, ma anche questo appare complesso, usano basi lontane, in Qatar o negli Emirati Arabi Uniti, “sarebbe stato più saggio invece mantenere le basi aeree di Bagram e Kandahar”, ha spiegato il generale. Le forze afghane avranno bisogno di sostegno, di supporto logistico, soprattutto l’aviazione, una ripresa secondo Petraeus, potrà partire solo in questo modo. 

Anche dentro all’esercito americano aumenta il senso di frustrazione per un ritiro così disastroso. 
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)