Europei, siete davvero sicuri che ora la Turchia accoglierà gli afghani?
L'Ue confida in un impegno turco, ma se Ankara lascerà sbarrata la porta di uscita, a pagare il prezzo più alto saranno i profughi
C’è una frase che dalle parti di Ankara si sente ripetere spesso in questi giorni e che suona più o meno così: cara Europa, l’Afghanistan non è la Siria e stavolta i soldi potrebbero non bastare a tenere anche questi migranti lontani dalle tue frontiere. Le cancellerie europee sono spaventate dall’idea che, a differenza di quanto successo durante la crisi siriana, la toppa agli arrivi non possa metterla nemmeno la Turchia. Ankara, la nostra extrema ratio quando si parlava di tamponare la rotta balcanica, manda ora segnali inaspettati.
“La Turchia non è un punto di sosta per i migranti”, ha detto Recep Tayyip Erdogan alla Cnn. E ancora: il flusso dei migranti afghani alla frontiera “è enormemente esagerato dai social media” – detto da chi, per anni, ha minacciato di “aprire i rubinetti” delle rotte dei migranti allo scopo di ottenere dall’Europa il più possibile, in termini economici e politici. Oggi Ankara è netta: “Da qui non passeranno né terroristi né migranti irregolari”, ha detto ieri il ministro della Difesa turco Hulusi Akar, mentre era al confine con l’Iran in visita alle truppe che monitorano la frontiera. Lì i turchi stanno costruendo un muro lungo 300 chilometri e alto 4 metri per impedire l’afflusso dei profughi afghani, che vengono intercettati e rimandati indietro.
Stessa sorte succede a coloro che sconfinano in Iran, che insieme al Pakistan accoglie già il 90 per cento dei profughi afghani: solo lo scorso anno quelli rimandati indietro dalle forze di sicurezza di Teheran erano stati 860 mila. Numeri molto alti, che fanno il paio con una situazione economica drammatica in cui versano sia la Turchia sia l’Iran. Nessuno può permettersi una nuova ondata sul modello siriano del 2015. In Turchia valgono anche delle considerazioni politiche: dopo avere ospitato finora quasi 4 milioni di profughi siriani, i malumori per un ipotetico nuovo afflusso fanno temere la leadership dell’Akp di Erdogan, attento a tenere a bada gli alleati dei nazionalisti dell’Mhp, molto sensibili al tema dell’immigrazione. “Non esiste un quantitativo di denaro che possa convincere Ankara ad aprire i suoi confini e ospitare i rifugiati afghani – ha scritto l’analista Omer Ozkizilcik sul sito della tv di stato Trt – L’Ue dovrebbe prendere atto del fardello che si è assunta la Turchia, tendendo le mani per aiutarla, invece di vederla come se fosse un grande campo di rifugiati che ospiterà chiunque voglia andare in Europa”.
L’ipotesi che Erdogan voglia rinegoziare l’accordo del 2016 con l’Ue per accogliere anche chi fugge dall’Afghanistan è ancora astratta e, almeno finora, i turchi hanno negato questa volontà. Quando, alla fine di luglio, il primo ministro austriaco Sebastian Kurz aveva detto che a suo avviso il posto migliore per fare stare i profughi afghani era la Turchia, le reazioni ad Ankara furono fra l’indignato e il provocatorio. “Sono sgomento”, rispose il ministro degli Esteri Akar. “Daremo noi 3 miliardi di euro all’Austria e li accoglieranno loro”, ironizzò Meral Aksener, leader del partito di opposizione Iyi. Il punto è che l’Ue non ha margini di trattativa. “C’è davvero la possibilità che l’Europa possa fare una proposta migliore alla Turchia per un ipotetico nuovo accordo sui migranti?”, si è chiesta su Twitter Camille Le Coz, ricercatrice del think tank Migration Policy Institute Europe.
“Anche considerando che finora non sono stati fatti passi avanti su altri aspetti dell’accordo precedente come la liberalizzazione dei visti”. “Le preoccupazioni degli europei sono più che dovute – spiega al Foglio una fonte delle Nazioni Unite – ma fare previsioni al momento sull’entità del flusso dei migranti lungo la rotta balcanica è quanto meno prematuro”. Resta l’urgenza di dare risposte nell’immediato, perché oltre alle valutazioni politiche ci sono i numeri di un dramma umanitario che riguarda 3,5 milioni di sfollati, 270 mila in più solo da gennaio di quest’anno. Se la porta di uscita attraverso l’Iran e la Turchia resterà sbarrata, significa che a pagare il prezzo più alto saranno proprio gli afghani.