Che succede adesso in Afghanistan? Il futuro in sei scenari

Andrea Gilli  e Mauro Gilli

Kabul è caduta, i talebani hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan e si è così dovuto anticipare il ritiro degli Stati Uniti e della Coalizione. Cosa fare, adesso? La risposta dipende da cosa si vuole ottenere

Opzione 1: non fare nulla, come sostengono i fautori dell’isolazionismo euro americano. I problemi interni all’Afghanistan sarebbero, secondo questa interpretazione, un dramma umanitario ma di cui i paesi occidentali non possono più occuparsi, soprattutto mentre affrontano almeno altre tre crisi di enorme portata: la pandemia, l’ascesa della Cina e il cambiamento climatico. Si tratterebbe dunque di evacuare i connazionali ancora in Afghanistan  e poi lasciare il paese e i suoi abitanti al loro destino.


Opzione 2: aiutare proattivamente gli afghani, non l’Afghanistan, senza mezzi militari. La situazione interna  è ancora molto incerta: mentre i talebani cercano di rassicurare la popolazione e la comunità internazionale, storie di violenze e prevaricazioni stanno emergendo. Come il caos dell’aeroporto di Kabul dimostra, molti vorrebbero scappare: un ponte aereo potrebbe però essere  difficile, anche perché non è chiaro quanto a lungo i talebani lo tollererebbero. Si tratterebbe dunque di creare corridoi umanitari e accogliere i rifugiati afghani in paesi circostanti:Iran, Uzbekistan, Tajikistan e magari Turkmenistan. La fattibilità di questa opzione dipende dalla collaborazione dei talebani, i quali potrebbero chiudere i confini con la forza. 


Opzione 3: soluzione diplomatica. I talebani hanno imposto, con la forza, la loro posizione ai negoziati di Doha. La diplomazia non ha finito però il suo corso, anzi. I talebani vorrebbero il riconoscimento internazionale. Senza riconoscimento, infatti, molte porte sono loro chiuse, tra cui gli aiuti. L’evacuazione dei cittadini europei, nord-americani e di altri paesi ancora presenti in Afghanistan, e l’eventuale gestione dei rifugiati chiedono anch’esse una gestione diplomatica della crisi. Tre considerazioni meritano attenzione. Senza presenza militare è più difficile influire sui negoziati politici. La leva negoziale passa quindi su altri fronti, quale quello finanziario (aiuti) e politico (riconoscimento). Alternativamente, bisogna triangolare la propria pressione diplomatica attraverso altri paesi che hanno mantenuto o accresciuto la loro influenza (dal Pakistan alla Cina, dall’Iran alla Russia). 


Opzione 4: tornano i droni. Sfruttando la superiorità tecnologica occidentale e l’assenza di difesa anti aeree avanzate in Afghanistan, alcuni paesi (come gli Stati Uniti) potrebbero decidere di pattugliare regolarmente lo spazio aereo del paese per colpire, con droni senza pilota, i talebani. Gli scopi sarebbero due: denial o punishment. Nel primo caso si tratterebbe di contrastarne l’avanzata e quindi sostenere chi si sta organizzando per combattere i talebani (come l’Alleanza del nord). Nel secondo caso, l’uso dei droni servirebbe come deterrente: si risponderebbe con attacchi di ritorsione, eventualmente contro la leadership  per violazioni di diritti umani ritenute non tollerabili o addirittura per l’eventuale supporto al terrorismo. I droni però hanno bisogno di basi, manutenzione e operatori: senza la presenza in Afghanistan bisognerà trovare ospitalità altrove. In secondo luogo, i talebani potrebbero chiedere un impegno perché si escluda questa opzione. Infine, si noti la contraddizione tra denial e punishment: intervenire in Afghanistan contro i talebani significa essere in guerra con loro e dunque esporsi alle loro controffensive, risultato che invece l’uso dei droni come deterrente (contro il supporto al terrorismo internazionale) potrebbe voler scongiurare. 


Opzione 5: intervento militare leggero con droni e forze speciali. Al momento, l’Afghanistan respira un’aria di calma apparente: non solo i talebani stanno dando rassicurazioni, ma più ambasciatori sono rimasti in loco per gestire la crisi mentre l’ex presidente Hamid Karzai, così come il vice-presidente Amrullah Saleh, si sono messi  al lavoro per  una transizione pacifica. Non possiamo però escludere che il paese si frantumi o che scoppi una guerra civile. In quel caso, alcuni potrebbero decidere di appoggiare alcune fazioni, tra cui i tajiki e Ahmad Massoud. Come? Realisticamente con rifornimenti di armi e forze speciali sia per addestramento che per supporto, in maniera non troppo diversa  di quanto accadde nel 2001. 


Opzione 6: si torna indietro. Ci sarebbe un’ultima opzione: il ritiro viene cancellato e si torna indietro, ma oramai i fatti l’hanno resa inverosimile. 

 

*Andrea Gilli è Senior Researcher al NATO Defense College di Roma. Mauro Gilli è Senior Researcher al Center for Security Studies di ETH-Zurich. Le opinioni espresse non riflettono le posizioni ufficiali della NATO, del NATO Defense College o di qualsiasi organizzazione con cui lavorano o hanno lavorato.

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