Da dove arrivano i soldi dei talebani?
Le loro fonti di guadagno sono redditizie. Ecco come sono riusciti a sopravvivere per vent’anni, piuttosto costosi, di clandestinità e di attesa (con qualche donazione)
“Gli Stati Uniti – ha detto Joe Biden – hanno speso migliaia di miliardi per la guerra in Afghanistan”. Un sacco di soldi, serviti a poco. Forse (lo vedremo più avanti) a fermare il terrorismo ai danni degli Stati Uniti. Non certo, è chiaro, a pacificare il Paese. Ma se gli americani hanno speso un sacco di soldi per (non) fermare i talebani, di quanti soldi hanno avuto bisogno questi ultimi per riprendersi il paese? Dirlo con certezza è impossibile.
Da un lato, ne sono bastati pochi: l’esercito talebano è fatto quasi tutto di miliziani volontari e non di militari stipendiati e, soprattutto da alcuni mesi a questa parte, non c’è stato nessun bisogno di comprare armi, poiché gli uomini dell’esercito regolare afghano, scappando, le abbandonavano lì, oppure le consegnavano per avere salva la vita. Da un altro lato invece, di soldi ai talebani per sopravvivere in questi venti anni di clandestinità e attesa, ne sono serviti un sacco: c’erano nascondigli da comprare, persone da corrompere, documenti falsi da stampare, armi da comprare e soprattutto centinaia di vite in clandestinità da mantenere. Da dove sono arrivati questi soldi? Chi, o meglio cosa ha finanziato e spesato i talebani in questi venti anni, non è chiaro. Al momento si sa solo una cosa con certezza: le loro fonti di guadagno, qualunque siano o siano state, sono piuttosto redditizie.
Secondo quanto dichiarato dallo stesso leader talebano Mullah Mohammad Yaqoob (e anche da un rapporto confidenziale della Nato) nel 2020 i talebani hanno avuto entrate per circa 1,6 miliardi di dollari. Una cifra enorme, se si pensa che in tutto, tra leader e semplici simpatizzanti, fanno parte del gruppo non più di 100 mila persone. Una cifra ancor più enorme se si pensa che lo stato afghano nello stesso periodo ha incassato solo poco più del triplo (5,5 miliardi). Per avere un’idea delle dimensioni della cifra: il Recovery Fund dell’Ue ha solo di 200 milioni in più. Assodato dunque che ai talebani i soldi non mancano e non sono mancati, occorre provare a comprendere da dove li hanno presi. Anche questo difficile dirlo con chiarezza. Si può procedere solo con stime e ipotesi.
Secondo un’attenta analisi pubblicata su The Conversation da Hanif Sufizada, del centro studi sull’Afghanistan dell’Università di Omaha, di questi 1,6 miliardi la fetta più grande, poco meno di un quarto, arriverebbe dalla produzione e vendita di droga. Il sistema funziona così: l’84 per cento della produzione mondiale di oppio (alla base sia dell’eroina che dell’hashish che si compra per strada) arriva dall’Afghanistan. I Talebani controllano tutta la filiera e, a quel che si sa, impongono una tassa del 10 per cento a ogni suo anello, dai contadini che coltivano i papaveri ai trafficanti che fanno arrivare la droga, fatta e finita, fuori dal paese.
Un’altra fetta molto grande delle entrate dei Talebani, più o meno altri 400 milioni, arriva indirettamente dalle numerose e ricchissime miniere afghane. Nelle montagne del Paese si nascondono ferro, marmo, rame, oro, zinco e terre rare, che costituiscono l’unico settore potenzialmente molto redditizio del paese. In realtà i talebani non si occupano direttamente di sfruttamento ed estrazione, ma impongono un pesantissimo pizzo alle aziende che lo fanno.
Poi ci sono alcune entrate che per certi aspetti si possono definire lecite e che hanno a che fare con il modo in cui i talebani, negli anni, hanno investito e riciclato i loro soldi: speculazioni immobiliari, esportazioni, commercio di manufatti, pezzi di ricambio per auto, minerali: tutte attività che, secondo le stime, possono valere altri 300 milioni di dollari.
A questo punto, nel nostro fare i conti in tasca ai talebani, siamo arrivati a circa 1 miliardo. Mancano ancora circa 600 milioni.
Secondo l’analisi di Sufizada, gran parte di questi questi soldi (500 milioni) va ricercata sia nelle donazioni di ricchi privati simpatizzanti e di cosiddette organizzazioni di beneficenza mediorientali (che in realtà sono sulla lista nera degli Stati Uniti perché accusate di finanziare il terrorismo) sia nei finanziamenti sottobanco di paesi ostili agli Stati Uniti e in qualche modo vicine ai talebani, come Russia, Iran, Arabia Saudita e Pakistan.
Mancano, a questo punto, circa 100 milioni. Da dove arrivano? Dalle tasse. Man mano che i talebani, in questi anni e soprattutto mesi, hanno preso il controllo di alcune zone del paese, lì hanno instaurato il loro governo e dunque le loro imposte: l’“ushr” – che è una tassa del 10 per cento sul raccolto di un contadino – e “zakat”, una tassa sul patrimonio del 2,5 per cento, oltre a quelle su strade, attività, imprese, negozi.
Arriviamo così, alla cifra monstre di 1,600 milioni di dollari. Una cifra che, secondo quanto scritto nel report della Nato del settembre 2020, era sufficiente a garantire “l'indipendenza finanziaria e militare” ai talebani. E una cifra alla quale ora si aggiungeranno i 5,5 miliardi complessivi delle finanze afghane.
Ai talebani, ora, non manca più nulla.