Gli europei di fronte il vuoto americano

Micol Flammini

I paesi membri si sentono traditi da Biden, che oggi non potrebbe più dire “America is back”

A febbraio, durante la Conferenza di Monaco, Joe Biden esordì con la frase che tutti si aspettavano: “America is back”. Chiedeva all’Ue un’alleanza tra le democrazie. In molti in Europa hanno creduto che  fosse una promessa: l’èra trumpiana è finita, siamo di nuovo amici. Gli  europei, dopo il ritiro degli americani dall’Afghanistan si  sentono di nuovo  traditi e hanno capito che non è vero che l’America è tornata, bisognerà fare da soli. La conquista di Kabul da parte dei talebani  per ora è un problema più europeo che americano e i paesi membri hanno già iniziato a dibattere sulla questione migranti: chi accoglierà gli afghani che arriveranno dalla rotta balcanica? L’Albania e il Kosovo hanno promesso agli Stati Uniti che ne accoglieranno alcuni, ma poi dove andranno questi afghani? L’Ungheria ha già detto che non aiuterà, anche l’Austria e la Grecia non ne vogliono sapere.

Tornano le divisioni, gli affanni e le paure: Germania e Francia sono in clima elettorale, non  vogliono una crisi  dei migranti.  Anche la Nato si sente tradita dalla decisione di Biden di ritirare le truppe così in fretta, questo disordine non piace all’Alleanza, che si sente azzoppata soprattutto  dopo il discorso in cui il presidente ha difeso il ritiro e fatto capire che gli Stati Uniti vengono prima di qualsiasi altra cosa, idea, missione. Un “America first” più gentile, ma comunque dannoso. Hans Kribbe, esperto di relazioni transatlantiche, ha detto al Foglio che “viviamo in un mondo post americano, e il crollo dell’Afghanistan dimostra che dovremo farci i conti. Non riesco a immaginare che Biden possa dire di nuovo ‘America is back’. Raramente l’impotenza degli Stati Uniti è stata mostrata in modo più drammatico”. E’ questo l’elemento di novità del discorso di lunedì, privo di illusioni. “Ha chiarito che il  popolo americano non sostiene un intervento su larga scala all’estero”.

 

Ci saranno altri cambiamenti e gli europei devono prenderne atto: “Non aspettiamoci che gli Stati Uniti investano nella stabilizzazione dei confini dell’Europa, in Ucraina, in Bielorussia o in Libia”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)