Il bluff dei talebani non è durato nemmeno un giorno

Micol Flammini

Le violenze a Jalalabad dimostrano che per i fanatici non esiste un altro modo di governare. Però continuano a cercare il riconoscimento degli altri paesi e leader del mondo, che passa anche dai social, una comunità internazionale online

L’Afghanistan, contrariamente a quanto detto martedì dal portavoce dei talebani in conferenza stampa, continua a essere un campo di battaglia. A Jalalabad, i fanatici  hanno sparato sui cittadini, durante una delle prime proteste contro di loro. I manifestanti hanno sfilato per le vie della città, fino ad arrivare nella piazza principale. Con loro portavano grosse bandiere dell’Afghanistan, con le quali hanno provato a sostituire quelle talebane. I fanatici hanno sparato sulla folla e ucciso almeno tre persone, secondo i media internazionali. Anche a  Khost e Kunar ci sono state proteste contro il nuovo regime e i talebani hanno sparato per disperdere i manifestanti. Il bilancio di morti e feriti non è chiaro, ma se serviva una prova del fatto che i talebani non sono mai cambiati né mai abbiano avuto intenzione di farlo, è arrivata. 

I talebani in questi vent’anni hanno soltanto aspettato e, nell’attesa, hanno imparato a usare codici occidentali, a rendersi presentabili per la stampa e anche guardare ai social come mezzo per diffondere la loro propaganda. Le piattaforme adesso sono davanti a un grande dilemma: cosa fare degli account del governo che nascerà e sarà talebano? Lasciarli liberi di pubblicare equivale a un riconoscimento e darebbe loro la possibilità di raggiungere molte più persone. Facebook per il momento segue il  principio secondo il quale i membri delle organizzazioni terroristiche non possono aprire account sulla piattaforma. 


I talebani non possono usare Facebook, né Instagram né WhatsApp. Eppure quest’ultima è servita per molte comunicazioni, nonostante gli estremisti siano banditi. Durante la conferenza stampa di martedì, un giornalista ha rivolto al gruppo una domanda sulla libertà di stampa e il portavoce ha risposto di andare a chiedere a Facebook cosa sia la libertà di  stampa, accusando la piattaforma di censura. La rimostranza è la prova  che il gruppo conosce molto bene le polemiche in corso sulle limitazioni dei social e sul dibattito riguardo le loro responsabilità. Facebook ha detto al Washington Post che è in attesa di indicazioni dalla comunità internazionale, se il governo talebano sarà riconosciuto dagli altri paesi e il gruppo non figurerà più tra le organizzazioni terroristiche, allora potrà usare il social. Twitter non ha una sua linea, infatti il portavoce del gruppo lo usava e proprio  da Twitter ha annunciato che gli estremisti avevano preso Kabul. YouTube invece ha detto di aver chiuso gli account legati ai talebani. Le piattaforme finora hanno costituito una comunità internazionale online, parallela che i talebani vogliono poter sfruttare. 

 

Durante il colpo di stato in Myanmar Facebook ha assunto una posizione simile, promettendo di limitare gli account della giunta militare che ha preso il potere con la forza per “ridurre il numero di persone che possono vedere i contenuti” del regime. Con i talebani la situazione potrebbe essere diversa, perché alcuni leader internazionali hanno iniziato a far capire che sono pronti a riconoscere il nuovo governo. Non soltanto Russia e Cina – Mosca vuole chiedere alle Nazioni Unite di togliere il gruppo dalla lista delle organizzazioni terroristiche – ma anche l’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, Josep Borrell, ha detto che l’Ue deve trattare con chi è al governo a Kabul per evitare una futura crisi umanitaria. Trattare con i talebani equivale a riconoscerli. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)