La svolta
Danimarca pioniera. Viaggio nella “quasi-normalità”
Il governo di Copenaghen è il primo nell’Ue a eliminare le restrizioni anti-Covid. Dietro l’azzardo una certezza: “Vaccini a tutto spiano (grazie anche alla Romania)”. Parlano i media danesi
Ridere, ridere, ridere ancora: “la gente per strada balla e si abbraccia, via le mascherine, addio distanziamento”. Non c’è ancora musica di tamburelli fino all’aurora, “perché i night club restano off limits e i bar alle 2 chiudono”, spiega al Foglio Astrid Helmer Mørck, cronista della pandemia per il canale pubblico Tv2. “Ma è questione di giorni. Gli ospedali sono vuoti”. Meno di cento ricoverati, una decina in terapia intensiva: quella nera signora – in tutto 2.500 decessi su una popolazione di 6 milioni – non è mai stata così lontana da quando esiste il Covid. Così la Danimarca ha deciso di fare il grande salto “verso la quasi-normalità”: oggi il superamento delle restrizioni, a partire da ottobre in archivio anche il ‘Coronapas’. L’analogo del nostro certificato verde, che “a Copenaghen però è in vigore dallo scorso 6 aprile”. Quattro mesi esatti prima dell’Italia: praticamente un’era pandemica. E dunque un racconto dal futuro, tra rischi e benefici, da seguire con attenzione.
Panoramica. Già prima dell’ultima settimana i danesi godevano di ampio respiro: scuola in presenza, uffici aperti e a pieno regime. Qualche controllo per evitare assembramenti nei luoghi al chiuso. E mascherina obbligatoria solo nei mezzi pubblici – ma solo per i passeggeri in piedi! “Da sabato scorso nemmeno questo”, dice Mørck. “Le uniche ‘zone franche’ restano gli aeroporti, dove continuano a vigere le restrizioni comunitarie. Per fare vita sociale ormai basta avere con sé il Coronapas, senza nemmeno esibirlo sempre. C’è grande eccitazione ma serve buonsenso: il paradosso è che stiamo riaprendo mentre i casi tornano a crescere”.
A ritmi contenuti, due decessi al giorno di media. E senza pressione sul sistema sanitario. Anders Kofod-Jensen, broadcaster per l’emittente Dr alle porte di Copenaghen, ci svela qual è stata la preoccupazione principale di medici e infermieri nelle ultime ore: “Sciopero. È in corso una grande protesta sindacale per ridiscutere la struttura dei salari. Nulla a che vedere con la pandemia: in caso di nuovi cluster c’è il rischio di tornare a lockdown localizzati, ma le riaperture non impensieriscono nemmeno gli ospedali. Grazie alla campagna di vaccinazione”.
È il fattore chiave per capire ‘l’allegria’ danese: oltre il 70 per cento della popolazione – il 95 tra fragili e anziani – è già immunizzato e nessun altro paese dell’Ue, microstati esclusi, può contare 141 dosi somministrate ogni 100 abitanti. “La vera svolta è arrivata a fine giugno”, di nuovo Mørck. Da un lato le prime folate di libertà: “Tutti in piazza per la nazionale che ci ha fatto sognare a Euro 2020: un test superato, contagi alla mano”. Dall’altro l’intuizione politica: “La Romania non riusciva a smaltire i vaccini a disposizione: 1,17 milioni di dosi Pfizer in scadenza. Così il nostro governo le ha comprate per accelerare con i giovanissimi”.
Risultato? Oggi la Danimarca è leader mondiale nella categoria: l’80 per cento dei teenager fra i 16 e i 19 ha ricevuto almeno una dose. E ora tocca alla fascia 12-15 anni: il 40 per cento si è già prenotato. “Sono dati fondamentali: garantire protezione ai ragazzi vuol dire ridurre la trasmissibilità del virus e delle relative varianti fra i gruppi socialmente più esposti. A vantaggio di tutta la popolazione”. In barba ai no vax, altra lezione dallo Sjælland: “Qualche protesta c’era”, ammette la giornalista. “Ma è bastato vaccinare, ignorando gli scettici. E poi vederli retrocedere davanti ai fatti: questa nuova stagione si deve solo all’immunizzazione di massa”. Condizione necessaria, si spera anche sufficiente: “Presto tornerà il freddo, l’influenza. E c’è la questione terza dose: l’autunno sarà una grande sfida ma noi siamo pronti. Sia come tenuta della sanità pubblica sia per elasticità collettiva, in base all’evolvere della pandemia”. L’Europa e l’Italia osservano Copenaghen ballare. L’illusione è già tanto.