Se urlavate contro la guerra in Afghanistan, oggi non lamentatevi dei talebani
Avete considerato indegne le operazioni speciali della Cia, allora non vi lamentate dei rastrellamenti casa per casa. I vostri piagnistei sono uno spettacolo di miseria psicologica
Sono contro il piagnisteo sui talebani. Chi dice che sono diventati agnellini e frigna per l’avvio di un dialogo senza condizioni è un fesso, certo, ma non è molto più astuto chi pensa all’instaurazione di un Emirato islamico, a mano armata e dopo vent’anni di occupazione riluttante del paese da parte delle potenze occidentali, a seguito di una sconfitta avvilente e disonorevole, come a un pranzo di gala. L’umanitarismo è un punto di vista che in certi casi, quando non sia un birignao insopportabile, alimenta il meglio della nostra coscienza, ma non il punto di vista più credibile per interpretare fatti storici e politici.
Se eri contro Guantanamo, ora che uno uscito di lì capeggia la rivoluzione a Kabul non piagnucolare. Se eri contro i bombardamenti che liberarono il paese dall’oppressione talebana e dal terrorismo in essa nutrito e protetto, non spargere lacrime amare sulla mancata dissuasione aerea che ha permesso la liquefazione dell’esercito nazionale afghano e l’avanzata travolgente dei mullah. Se ami la diversity come imperativo moraleggiante, non scassare le palle con la sorte delle donne afghane prevedibilmente costrette di nuovo ai costumi della sharia, forse burqa compreso. Se hai considerato indegne le operazioni speciali della Cia, non ti lamentare dei rastrellamenti casa per casa. Se non sei convinto che le democrazie possano e debbano battersi, con ragione e valore, con umanità e forza, per difendere il loro stesso significato universalmente, ovunque, bè, lascia il campo, senza spargere lacrimucce d’ipocrisia, a questa nuova rivoluzione islamica.
La disperazione strategica per un fatto inaudito, di cui siamo evidentemente corresponsabili, con diverse gradazioni di colpa e di ignavia, è diversa dal piagnisteo. Se la pensi come Emergency, festeggia. Se la pensi come Alberto Cairo e gli altri della Croce Rossa, che hanno sempre degnamente fatto il loro mestiere umanitario senza chiacchiere, sei autorizzato a osservare, discernere, cercare di capire che cosa verosimilmente sta accadendo in quel paese, nel momento del buio e della disfatta, e che cosa potrà accadere in futuro, mescolando ragioni di pessimismo e piccoli spazi di speranza legati agli effetti diretti e indiretti di un ventennio combattuto, in cui comunque molto fu sacrificato benevolmente, e con perdite di infinita tristezza, per un finale fatto di poco, pochissimo, quasi niente.
Il senso di colpa deviato dell’occidente ci ha indotto a vergognarci della guerra, anche di liberazione e antiterroristica, quando la si combatte: sono diventati miti totemici della colpa occidentale la sproporzione tecnologica e di ricchezza in mezzi ed equipaggiamenti, parole come petrolio e imperialismo ci hanno accecati anche di fronte all’evidenza di immensi bilanci umanitari spesi senza alcuna contropartita territoriale, di sovranità, di fronte all’inesistenza della famosa “rapina delle risorse”, alla violenza necessaria contro la violenza fanatica che insidia pace e equilibrio tra le nazioni e le aree geografiche.
Abbiamo rubricato e dannato sotto la voce “memoria coloniale”, fino agli effettacci della cancel culture, lo scontro di civilizzazione in atto attraverso e dopo la fine della Guerra fredda, e ora tutti a piangere di orrore perché l’Emirato in costruzione obbliga all’uniformità rituale, coranica, un popolo che abbiamo abbandonato dopo averlo illuso, generazioni che hanno visto il potere occidentale a Kabul come un elemento di libertà mentre per noi era neocolonialismo sotto le spoglie del nation building occidentalista. Il piagnisteo a babbo morto è decisamente riprovevole, uno spettacolo di miseria psicologica. Come diceva Francesco De Sanctis, un appello che oggi bisognerebbe girare a molti telecronisti della Rai, della Bbc e della Cnn, a molti giornalisti e osservatori curiosamente scossi dall’assalto della realtà, “dateci le lacrime delle cose, e risparmiateci le vostre”.