Bennett scopre che gestire la pandemia è più difficile che scriverne

Micol Flammini

Per il premier israeliano la guerra al Covid è più che personale. C’entra la lotta senza fine con Benjamin Netanyahu

Gli israeliani che hanno ricevuto una terza dose di vaccino contro il Covid-19 sono circa 1,5 milioni. Ci sono 6.400 positivi e uno dei primi paesi che aveva celebrato il ritorno alla normalità, alla vita pre pandemia, alle feste senza restrizioni, ai concerti, alle serate assembrate, nell’ultimo mese ha dovuto fare di nuovo i conti con il virus. E il premier Naftali Bennett che il 13 giugno aveva giurato come primo ministro di un paese che si toglieva la mascherina dal volto adesso si sta rendendo conto che avere a che fare con la pandemia non è così semplice, come invece asseriva quando ancora era all’opposizione, come leader di Yamina. All’epoca il paese era guidato da Benjamin Netanyahu che, dopo aver organizzato  la campagna di vaccinazione più rapida al mondo, aveva commesso l’errore di far cadere il governo,  andare a elezioni anticipate e  schiantarsi contro una compagine di partiti che avevano in comune solo l’obiettivo di voler vedere Israele senza di lui.


Quando, dopo il giuramento del suo ex pupillo Bennett, Netanyahu aveva osservato che il nuovo governo prendeva la guida di uno dei paesi messi meglio per quanto riguardava la lotta al Covid, aveva ragione. Bennett e i suoi non si aspettavano però che avrebbero dovuto avere a che fare con una quarta ondata, con l’arrivo della variante Delta che li avrebbe subito messi alla prova. Ormai passato all’opposizione era stato Netanyahu il primo a dire che sarebbe stato meglio mettersi al lavoro per una terza dose di vaccino e che anzi lui avrebbe potuto chiamare il suo amico Albert Bourla, ceo di Pfizer, per chiedergli nuovi vaccini. Bennett e il governo avevano respinto l’offerta. Politicamente al blocco anti Netanyahu non conveniva accogliere le proposte dell’ex premier, ma Bennett si è poi ritrovato a fare quello che Netanyahu andava suggerendo da un po’: una terza dose di vaccino per tutta la popolazione, iniziando dai più fragili.  Il  leader di Yamina e nuovo premier sta constatando che gestire un paese e gestirlo durante una pandemia è molto più difficile nei banchi del governo che in quelli dell’opposizione. 

Tanto più che Bennett sulla gestione del Covid aveva anche scritto un libro in cui prometteva che, fosse stato lui il premier, avrebbe portato il paese fuori dalla crisi in cinque mesi. Ora si sta rendendo conto che non è così semplice. Bennett aveva anche detto che mai ci sarebbero stati passi indietro, e invece anche Israele ha dovuto reintrodurre le mascherine e altre restrizioni per evitare gli assembramenti. Adesso l’obiettivo è evitare un nuovo lockdown, ma gli israeliani, vedono il premier confuso, poco incline a rispettare le promesse e secondo un sondaggio citato dall’Economist, il 43 per cento dei cittadini pensa che Netanyahu abbia gestito la pandemia meglio di Bennett. Solo il 21 per cento dice che il invece il leader di Yamina sta facendo un lavoro migliore rispetto al suo predecessore. Netanyahu non vede l’ora di riprendere il posto che ha occupato per undici anni e anche chi è contro di lui, anche i cittadini che negli ultimi tempi hanno cercato di allontanarlo, gli riconoscono di aver gestito bene la pandemia. 

Tanto più che la crisi sanitaria e le questioni di sicurezza non lasciano spazio per parlare delle accuse e dei processi contro Netanyahu. Bibi facendo cadere il governo ha commesso un azzardo, ma Bennett vantandosi di saper gestire bene una crisi che ha messo in ginocchio il mondo intero ha complicato la sua posizione.  Tanto più che Bennett è un premier a metà. Secondo l’accordo di coalizione il premier non può rimuovere o richiamare ministri che non siano del suo partito e, considerando che il governo è composto da otto partiti che vanno dall’estrema destra all’estrema sinistra, la capacità di azione del premier è molto ridotta. Il ministro degli Esteri Yair Lapid, di centrosinistra, non ha mai preso parte a una delle riunioni di governo sul Covid.  Neppure Avigdor Lieberman, ministro delle Finanze e leader della destra di Israel Beitenu, lo ha mai fatto. La notizia riportata da tutte le testate israeliane ha fatto molto scalpore: le riunioni prevedono la presenza di tutti i ministri e i cittadini vedono ancora l’uscita dalla pandemia come una priorità della politica, pretendevano spiegazioni e anche che ci fossero ripercussioni. Bennett non ha potuto prendere nessuna misura contro i due ministri, uno dei quali, Lapid, è l’architetto del nuovo governo e sarà lui ad assumere la premiership quando sarà finito il mandato di Bennett. 

Israele ha capito subito come i vaccini fossero l’unica via d’uscita dalla pandemia ed è vero che Bennett si trova davanti un meccanismo ben oliato. Forse è perché le aspettative erano molto alte, ma se in Israele c’è un senso di disapprovazione nei confronti dell’operato del premier è anche perché il leader di Yamina si è messo da solo nei guai accusando Netanyahu di non saper gestire la crisi sanitaria. 
Dice Bennett che per combattere il Covid bisogna essere umili, ma lui non lo è mai stato. Sta facendo lo stesso errore che ha fatto il suo predecessore: rendere la lotta alla pandemia una questione personale. Avrebbe dovuto imparare che non conviene mai, in un paese come Israele in cui la politica è così instabile, ancora meno. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)