La strategia "zero Covid" funziona?

Giulia Pompili

Australia e Nuova Zelanda volevano eliminare il virus. Poi è arrivata la variante Delta

Insieme alla Cina e alla Nuova Zelanda, l’Australia era fino a poco tempo fa uno dei paesi rappresentanti della strategia “zero Covid”, quella che prevede l’eliminazione completa del virus Sars-Cov-2 dal proprio territorio. In un intervento pubblicato domenica scorsa su News.com.au, il primo ministro australiano Scott Morrison ha annunciato un cambio radicale di strategia: “Quando non sapevamo nulla di questo virus era  importante concentrarci sul numero di casi perché il nostro sistema ospedaliero non sarebbe stato in grado di farcela”, ha scritto Morrison. “Da allora molto è cambiato. Oltre al numero di nuovi casi dobbiamo pensare a come riappropriarci delle nostre vite in un mondo con il Covid. Il numero di nuovi casi è importante, ma è solo una parte della storia”. Sin dalla fine di giugno la città più popolosa d’Australia, Sydney, sta vivendo un secondo durissimo  lockdown. 


Un lockdown che sta “dividendo la città”, hanno scritto in un lungo reportage sulla Abc Mridula Amin e Tim Swanston, aumentando il divario tra chi può permettersi una città blindata e chi no, “con lo stesso schema già vissuto da Melbourne”. A Sydney, per controllare il rispetto delle regole del lockdown, sono arrivati perfino i militari, in una specie di “modello Wuhan” molto criticato dall’opposizione e dai cittadini. Sabato scorso ci sono state proteste di piazza in diverse città australiane e la polizia ha arrestato centinaia di manifestanti. Le due città più popolose, Sydney e Melbourne, sono anche quelle più colpite dai contagi e nel fine settimana si è arrivati al record di 894 nuove infezioni in tutto il paese. Ma mentre il premier dello stato di Victoria, Daniel Andrews, ha detto che le proteste di Melbourne sono “una vergogna” e che “il rispetto delle regole attuali è ciò che ha fatto scendere i numeri in passato ed è ciò che farà abbassare i numeri in futuro”, la premier del New South Wales, lo stato la cui capitale è Sydney, ha detto in un’intervista al programma “7.30” che l’obiettivo “Covid zero” “è del tutto irrealistico. Non conosco nessun paese del pianeta che rispetti queste regole. Semplicemente non è possibile, non possiamo far finta di essere speciali. Dobbiamo fare il possibile per ridurre il numero di persone che finiscono in ospedale, e accettare questa transizione”.


Alla fine del 2020 l’Australia e la Nuova Zelanda erano tra i rarissimi casi di successo nel contenimento della pandemia. La chiusura dei confini, aiutata dalla bassa densità abitativa (quasi ovunque, tranne che nelle aree metropolitane), le misure di precauzione e una comunicazione efficace avevano aiutato a ridurre i casi di Covid-19 quasi a zero per un lungo periodo. I rispettivi governi centrali, quello di Scott Morrison in Australia e quello di Jacinda Ardern  in Nuova Zelanda, erano tra i pochi ad aver guadagnato consensi tra i cittadini in una crisi inedita a livello globale. Poi è arrivata la variante Delta. 


Ieri il governo di Wellington ha deciso che Auckland, la città neozelandese più popolosa, sarà in lockdown almeno fino a fine agosto. Per il resto della Nuova Zelanda la serrata sarà estesa fino a venerdì prossimo. La leader Jacinda Ardern ha annunciato in conferenza stampa che anche i lavori del Parlamento sono sospesi per una settimana, e che l’arrivo della variante Delta sul territorio (35 nuovi casi soltanto ieri: un record; pochi rispetto a quelli a cui siamo abituati noi, ma significativi considerata la trasmissibilità della Delta in un paese da meno di cinque milioni di abitanti) è stata probabilmente dovuta alla “travel bubble”, la “bolla di viaggio” autorizzata con Sydney. Ma nonostante tutto “l’eliminazione totale del virus resta la nostra strategia”, ha detto Ardern a domanda diretta. Dopo la consultazione con il team di esperti, la premier ha confermato che tutti concordano sull’obiettivo “zero Covid”, almeno “fino a quando le condizioni non cambieranno”, e cioè quando la popolazione sarà completamente vaccinata. Ieri la leader del governo aveva la responsabilità di mostrare coerenza nelle decisioni governative, ma già da qualche giorno il ministro per la risposta alla pandemia, Chris Hipkins, aveva aperto alla possibilità di cambiare la strategia del contenimento: “La variante Delta ha cambiato le cose”, ha detto in una trasmissione tv qualche giorno fa, “è come se tutte le nostre protezioni attuali contro il virus cominciassero a sembrare meno adeguate. Dobbiamo essere più aperti in futuro”. 


La Cina, il paese autoritario dove tutto è iniziato e che ha propagandato per mesi la capacità inedita di eliminare completamente il virus dal suo territorio, ieri per la prima volta da giugno, cioè dall’inizio della diffusione della variante Delta, non ha registrato alcuna infezione locale. I nuovi casi di Covid avevano costretto a nuove misure di controllo compresi i test di massa, la limitazione degli spostamenti, la chiusura dei confini che lentamente iniziavano a riaprirsi – compreso, qualche giorno fa, la chiusura del porto di Ningbo, uno dei più grandi del mondo, per un caso di Covid tra i dipendenti portuali. Ma al giornale cinese NetEase Technology l’ex capo del centro per il controllo delle malattie infettive di Pechino, Zeng Guang, ha detto che questa strategia appare impossibile da tenere in piedi sul lungo periodo: “La Cina non può isolarsi dal mondo mentre sta per ospitare i Giochi olimpici invernali del 2022”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.