Perché l'Ue deve cambiare strategia in Afghanistan
Von der Leyen offre aiuti e parla di diritti. Intanto la fuga da Kabul accelera. I talebani non agiscono sulla base di interessi europei
Il modo in cui l’Unione europea sta affrontando la crisi in Afghanistan rivela un bias cognitivo grave per chi aspira a diventare un attore geopolitico: la convinzione che alleati o avversari agiscano sulla base di interessi e razionalità europei, dimenticando le loro motivazioni ideologiche, religiose o nazionali. Agli occhi dell’Ue, Joe Biden avrebbe dovuto prorogare il ritiro oltre il 31 agosto per onorare la promessa di completare l’evacuazione degli afgani e di restaurare le alleanze dell’America.. Nonostante le pressioni al G7, Biden ha preferito non far correre all’esercito più potente al mondo il rischio di perdere anche un solo soldato. Agli occhi dell’Ue, ai talebani ora converrebbe fare concessioni per evitare di guidare uno stato paria. “I talebani sono ormai una realtà in Afghanistan”, ha detto ieri Angela Merkel, predicando il dialogo. Ma per i talebani contano di più il riconoscimento e gli aiuti dell’Unione o il simbolo della disfatta americana e il ritorno del loro Emirato? Nel suo discorso al Bundestag Merkel ha mescolato realismo e idealismo sull’Afghanistan post ritirata. Questo è un momento “amaro”, ma “rimango convinta che nessuna forza o ideologia possa resistere alla spinta per la giustizia e la pace”, ha detto Merkel.
“Non dobbiamo avere paura di dialogare con i talebani se è per preservare parte dei progressi di cui ha beneficiato il popolo afghano negli ultimi 20 anni e per continuare a proteggere le persone dopo l’evacuazione”. Come? Merkel ha promesso 500 milioni di euro di aiuti umanitari. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ne ha annunciati altri 200 milioni. “E’ nell’interesse dei talebani permettere l’accesso di aiuti umanitari perché non sono in grado di garantire le necessità della popolazione”, spiega al Foglio un funzionario europeo. L’assunto dell’Ue è che per i talebani conti più il benessere degli afghani ordinari e la pace sociale che l’applicazione della sharia o il dominio attraverso la paura.
Un’altra “leva” sui talebani – prosegue il funzionario – dovrebbe essere il riconoscimento del nuovo regime di Kabul e la concessione di aiuti oltre a quelli umanitari. Von der Leyen ha detto che c’è un miliardo di euro di bilancio dell’Ue di aiuti allo sviluppo destinati all’Afghanistan che è stato congelato. Questi e altri finanziamenti “dipendono da come si comporteranno le nuove autorità a Kabul”, dice il funzionario. Nell’immediato, l’obiettivo dell’Ue è di convincere i talebani a garantire evacuazioni anche dopo il 31 di agosto. Nel medio periodo le condizioni che i talebani sarebbero chiamati a rispettare sono lo stato di diritto, i diritti di donne e bambine, la lotta alla corruzione. Ma la fuga da Kabul (la Polonia ha interrotto il ponte aereo ieri, Francia e Regno Unito lo faranno oggi) e l’evocazione di sanzioni contro i talebani dimostrano quanto poco la stessa Ue creda nell’efficacia di questo dialogo.
Il bias dell’Ue non è solo sui talebani, il cui fanatismo religioso prevale sulla razionalità in stile europeo. In Afghanistan Cina e Russia “sono parte dell’equazione. Abbiamo un interesse comune in un paese stabile”, spiega il funzionario europeo. Mario Draghi ha detto di voler coinvolgere Cina, Russia, India, Turchia e Arabia Saudita con il G20. Ma, come dimostra la telefonata di ieri tra Xi Jinping e Vladimir Putin, Pechino e Mosca preferiscono fare fronte comune a due per capitalizzare sulla sconfitta dell’occidente. Secondo il Quotidiano del popolo cinese, Xi vuole una politica di non interferenza e rispetto della sovranità dell’Afghanistan e Putin la condivide. Quanto agli altri paesi che Draghi vorrebbe coinvolgere, hanno interessi (e alleati) contrastanti in Afghanistan.
La forma mentis della diplomazia europea è quella di una geopolitica in cui non esistono giochi a somma zero e il dialogo è sempre la panacea. Ma il calcolo si rivela spesso sbagliato. Per l’Ue, l’Iran aveva interesse a tornare all’accordo sul nucleare per vedersi togliere le sanzioni americane. Invece Teheran accelera sulle centrifughe. Per l’Ue, Putin non aveva interesse a incarcerare Alexei Navalny perché avrebbe subìto altre sanzioni. Invece il presidente russo ha smantellato tutta la rete del suo oppositore. Per l’Ue, la Cina non avrebbe imposto sanzioni in rappresaglia a quelle europee sullo Xinjiang per non mettere a rischio un accordo sugli investimenti. Invece nella lista nera di Pechino sono finiti ambasciatori e parlamentari europei. Che sia per ingenuità o deresponsabilizzarsi, ogni volta che l’Ue persegue un dialogo fine a se stesso, senza tenere conto dei reali obiettivi degli interlocutori, ne esce umiliata.
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