Aiutiamo la resistenza nel Panshir
Difendere l’ultimo lembo di libertà afghano anche per onorare i nostri caduti
In questi giorni di angoscia è arrivato dalla valle del Pansir, l’ultimo lembo di terra afghana ancora libero, un accorato appello che molti, non qui ove mi state leggendo, hanno trascurato. Lo ha lanciato, diretto a tutto il mondo, Ahmad Massoud, figlio del leggendario comandante Massoud, che con la sua Alleanza del Nord, partendo dal Pansir, mai occupato, nemmeno allora, dai Talebani, aiutò a scacciarli dal paese. Il comandante Massoud fu ucciso, ricordiamolo, da due talebani travestiti da giornalisti, proprio due giorni prima dell’attentato alle Torri Gemelle. Ho letto quasi con commozione l’appello di suo figlio, che ne ha raccolto l’eredità e lo spirito di resistenza. Ahmad Massoud scrive che “la tirannia sembra trionfare in Afganistan” ma che “non tutto è perduto”. Annuncia che con i suoi combattenti è deciso a difendere il Pansir, “l’ultimo bastione di libertà in un paese in agonia”.
Ha promesso che non cederanno. Chiama tutti gli afghani, di tutte le etnie, che rifiutano la servitù, a unirsi a loro. Si rivolge all’Europa, all’America e a tutto il mondo chiedendo di essere aiutato a resistere in questa lotta per la libertà. Ahmad Massoud scrive che gli afghani sono nella stessa situazione in cui si trovava l’Europa nel 1940. Richiama le parole Winston Churchill che esortava il suo paese a resistere anche a prezzo di lacrime e sangue e quelle, simili, del generale De Gaulle e di Franklin Delano Roosevelt, simbolo della democrazia in America. Sono parole che conosciamo bene e in cui ci immedesimiamo.
L’Europa e il mondo risponderanno a questo appello? Temo di no, probabilmente fingeranno di non aver sentito, ma così aggiungeranno vergogna a vergogna. Non voglio entrare in questioni di politica internazionale ma di diritti umani sì. I talebani hanno scatenato una guerra feroce contro il governo legittimo, che ha provocato migliaia di morti tra i civili. È successo fino a ieri, nessuno sembra rimarcarlo. Hanno violato ogni accordo con l’obiettivo di prendere da soli tutto il potere. In questi primi giorni mostrano un volto tranquillizzante. Hanno assicurato, in questo sono certamente sinceri, che distruggeranno quel poco o tanto di democrazia che è stato costruito negli ultimi vent’anni ma che non faranno del male a nessuno.
È difficile crederci. Gli islamisti sono abilissimi nella dissimulazione, è un cardine della loro dottrina. Si chiama tafiya e comporta il diritto di mentire agli infedeli oggi per raggiungere i propri obiettivi più tardi. E’ l’attitudine alla menzogna che ho sentito, toccato con mano, conoscendo in tante indagini terroristi islamisti e i loro fiancheggiatori. E’ molto probabile che quando tra non molti giorni si saranno spenti i riflettori del mondo, inizieranno a stanare gli attivisti per i diritti umani, soprattutto le donne, i giornalisti, gli avvocati, gli artisti. Già all’inizio dell’anno, come ha ricordato la nostra Unione Donne Magistrato, i talebani avevano ammazzato due donne magistrato componenti della Corte Suprema afghana. Non sembra che si siano inginocchiati o abbiano chiesto scusa per questo.
Dopo la cacciata dei talebani nel 2001, tra molti errori certo tra cui non riuscire ad arginare la corruzione, qualcosa aveva cominciato a cambiare. Soprattutto si erano radicati progetti educativi e sanitari per donne e ragazze, milioni di loro avevano cominciato a studiare e decine di migliaia avevano concluso gli studi universitari. Esistevano per la prima volta nel paese una stampa degna di questo nome, canali tv e stazioni radio senza le quali non si forma una società civile. Non lo può negare nemmeno chi, per radicata ideologia, odia l’occidente, spesso come sappiamo, senza rischi perchè ci vive e ne gode dei benefici.
Ora tutto questo in poche settimane può sgretolarsi come le statue dei Buddha di Bamiyan. Nei giorni in cui l’intelligence non poteva non aver compreso che il collasso era ormai imminente non sono state nemmeno allestite zone sicure per organizzare l’evacuazione. Entro ora nel Palazzo di giustizia di Milano, in questi giorni d’agosto quasi deserto. Intorno camminano due militari in tuta mimetica, presenti per difenderne la sicurezza sin dagli anni delle Torri Gemelle e del terrorismo islamista. Viene in mente che quasi nessuno in questi giorni ha ricordato i 53 militari italiani, in gran parte giovani alpini, caduti in Afganistan in quella che almeno per noi è stata una missione di peacekeeping. Sono morti per niente? Forse. Forse con la loro presenza hanno però fatto intravvedere a tanti cittadini di quello sventurato paese che si può vivere in modo diverso, in pace e senza il rumore delle armi in sottofondo. Hanno diritto, nella piazza di una nostra grande città, almeno a un Memorial. Non dimentichiamoli e non lasciamo all’oblio quello che hanno tentato di fare. E, anche per questo, aiutiamo il Pansir.