Il ritiro di Biden dall'Afghanistan è un bersaglio perfetto per l'Isis
Lo Stato islamico attacca l’evacuazione di massa all’aeroporto di Kabul e uccide decine di civili e 13 militari americani. Raffiche contro un C-130 italiano, la pilota: “Ci hanno puntato e ci hanno sparato”
Dal nostro inviato. Era il bersaglio perfetto, era quasi indifeso e c’era soltanto da aspettare che lo Stato islamico in Afghanistan mettesse assieme gli elementi necessari a colpire, quindi i volontari suicidi forse arrivati da altre province e l’esplosivo usato per i giubbotti. Era tutta roba che la cellula dello Stato islamico dentro a Kabul, che dopo anni di inattività in questi mesi recenti aveva organizzato attentati a catena contro la minoranza hazara e piazzava bombe contro i loro bus e contro le loro scuole, doveva organizzare a colpo sicuro perché questa volta l’attacco avrebbe attirato molto di più l’attenzione internazionale.
Da una settimana era cominciata una sequenza di avvertimenti da parte dell’intelligence – prime fonti: americani e francesi – su un attentato imminente dello Stato islamico contro l’aeroporto di Kabul. I talebani non hanno alcun interesse ad attaccare le forze militari occidentali impegnate in un ponte aereo gigantesco per portare in salvo decine di migliaia di civili afghani, perché in questa fase offrono calma in cambio di legittimità internazionale. Non vogliono sanzioni, vogliono sembrare credibili. Lo Stato islamico in Afghanistan (che molti indicano con la sigla in inglese Iskp) invece aveva tutto l’interesse ad attaccare ed è quello che ha fatto: due attentatori suicidi si sono mescolati alla folla che ancora preme ai cancelli dell’aeroporto nella speranza di entrare e si sono fatti saltare in aria. Un attentatore si è fatto esplodere davanti all’Abbey Gate, dove una squadra di marines monta la guardia dietro un muro di cemento protetto dal filo spinato. Quando il giorno prima il Foglio aveva visitato quella postazione ha visto i marines coprire la sommità del muro per tutta la sua lunghezza, spalla a spalla, come durante un assedio medievale, e alternarsi a squadre. Una squadra si riposa con le armi appoggiate al cemento e l’altra sta sul muro. Dall’altra parte una folla di afghani guardava all’insù ogni movimento degli americani.
Le prime file si vedevano con chiarezza, ma poi l’assembramento si faceva confuso e si perdeva in fondo, nel buio, dove i talebani si fanno vedere a bordo di veicoli senza avvicinarsi di più ora.
In quella folla ieri pomeriggio si sono infilati gli uomini dello Stato islamico con l’esplosivo, si sono portati fin sotto al muro e hanno fatto strage. Almeno quaranta morti e sembra una cifra plausibile se si considera la calca e tredici morti tra i marines americani.
La morte dei soldati va a colpire anche l’Amministrazione Biden, che aveva scommesso su un ritiro ordinato e su una caduta di Kabul spalmata nel tempo e invece si è trovata a fronteggiare un collasso improvviso e scene catastrofiche: dai civili in preda al panico che si aggrappano agli aerei fino alle stragi dello Stato islamico al cancello dell’aeroporto, dodici giorni dopo.
Lo Stato islamico odia i talebani perché li considera dei tiepidi, attaccati all’idea nazionalista di un emirato soltanto afghano e non al sogno del califfato mondiale, e inoltre colpevoli di collaborare con l’intelligence pachistana e di trafficare droga. Odia le forze militari internazionali impegnate a Kabul e non si fa scrupoli di colpire civili afghani che stanno fuggendo con gli occidentali e quindi di fatto ai loro occhi sono rei confessi. Con questo attentato colpisce tutte e tre le categorie: i talebani non sembrano esercitare un controllo pieno del territorio e si trovano per così dire già contestati da gente più estremista; i militari internazionali stavano per abbandonare il campo e l’evacuazione di massa era ormai un’operazione agli sgoccioli, ma non l’hanno fatto abbastanza in fretta; i civili afghani sognavano un futuro in occidente lontano dai pericoli del proprio paese e invece sono stati raggiunti dagli estremisti proprio sotto il muro dei marines americani. E’ una selva di simbolismi orrendi che vanno tutti in una stessa direzione: questo ritiro, fatto così, è stata una decisione ideologica che ignorava la realtà dei fatti e la realtà è invece terribile.
Ieri poco prima delle sette del mattino qualcuno ha sparato con una mitragliatrice pesante contro uno degli ultimi voli organizzati dall’aeronautica italiana per evacuare migliaia di civili afghani dall’aeroporto di Kabul dopo la vittoria militare dei talebani. Il C-130 era decollato da pochi minuti e aveva superato i mille metri di quota con a bordo 94 afghani e in coda due avieri, uno per lato, controllavano il suolo per vedere eventuali minacce e parlavano con la cabina di pilotaggio via interfono. Di colpo il pilota ha fatto una manovra evasiva molto brusca – ha puntato l’aereo verso il basso e poi l’ha fatto impennare – ripetuta per due volte, perché gli avieri hanno visto arrivare da terra i proiettili traccianti di raffiche di mitragliatrice. L’aereo in quel momento stava passando sopra alle montagne attorno a Kabul. A bordo ci sono stati momenti di panico tra i passeggeri, che non viaggiavano come su un normale volo ma stretti e seduti sul pavimento, disposti per risparmiare spazio su molte file e aggrappati a corde tese da un lato all’altro della carlinga. Il pilota, una donna, ha reagito con freddezza e dopo la manovra si è portata in quota in fretta per uscire dalla gittata della mitragliatrice. A parte gli sballottamenti, dentro il C-130 era difficile capire cosa fosse successo tranne che per gli avieri incollati agli oblò di coda. Poco dopo, attraversato il confine con il Pakistan, hanno tirato un sospiro di sollievo, si sono levati i giubbotti antiproiettili e i caschi con i visori. Il pilota ha confermato al Foglio con queste parole: “Ci hanno puntato e ci hanno sparato”, che smentisce chi dice che si tratterebbe di colpi sparati in aria (l’aeroporto, dove gli spari in aria sono normali, era ormai lontano).
E’ una cosa che era già capitata ai voli militari italiani impegnati in Afghanistan durante la prima fase della guerra, ma non succedeva più dal 2012 e in questo momento la situazione a terra è completamente cambiata e quindi vale la pena chiedersi cosa c’è di significativo questa volta – se c’è. La routine degli anni scorsi non spiega più questi giorni di caos afghano. Come si è detto, ci sono allarmi d’intelligence e spiegavano che lo Stato islamico potrebbe infiltrare attentatori suicidi in mezzo alla folla di persone che ancora preme ai cancelli per entrare – come è avvenuto ieri – oppure potrebbe sparare razzi sui cancelli o sulle piste, o mandare autobomba in rapida successione contro i cancelli come fa spesso per fare strage di chi arriva sul luogo della prima esplosione. Tra i possibili allarmi uno riguardava anche la possibilità di attacchi contro gli aerei in decollo.
L’aeroporto in questo momento è circondato dai talebani. A volte si sentono i colpi di fucile che sparano all’esterno per tenere lontana la folla e lunedì un paio di persone all’interno sono state ferite dai colpi in ricaduta. Dentro al perimetro dell’aeroporto forze militari di molti paesi occidentali stanno portando via grazie a uno sforzo logistico con pochi precedenti decine di migliaia di afghani che sarebbero in pericolo di vita se restassero nel nuovo Afghanistan. Se lo Stato islamico avesse avuto successo contro il C-130 italiano avrebbe dimostrato che il controllo dei talebani sul paese è debole, avrebbe colpito soldati occidentali, avrebbe compiuto un attentato sotto gli occhi dei media, che in questo momento prestano molta attenzione a quello che succede a Kabul (tra l’altro un gruppo di nove giornalisti invitato dalla Difesa a seguire le operazioni di evacuazione era a bordo dell’aereo, incluso il Foglio). E’ tutta una storia di “se” per ora. Al momento l’identità degli sparatori non è conosciuta.