Il ruolo della Sapienza di Roma
Come arriveranno in Italia i 200 studenti bloccati a Kabul
La trattativa è ancora in corso. Ma entro una settimana, con il supporto internazionale e il beneplacito dei talebani, si dovrebbe sbloccare il trasferimento
La trattativa è ancora in corso ed è in una fase delicata. Ma entro una settimana, con il supporto internazionale e il beneplacito dei talebani per un trasferimento iniziale in un paese confinante, si dovrebbe sbloccare il trasferimento in Italia dei 200 fra studenti, ricercatori e docenti bloccati a Kabul dopo l’attentato all’aeroporto dell’Isis K, alle cui liste tutta la Sapienza sta lavorando con il ruolo di Coordinatrice dal 16 agosto. La situazione è fluida. Ma ci sono possibilità. Ora bisognerà iniziare a pensare ai sostegni, anche economici. In ateneo qualcuno spera in un programma interministeriale. Altri cercano supporti presso privati e con le aziende. Di sicuro, non dormiranno che tre ore per notte ancora per molte settimane nè il prorettore all’internazionalizzazione della Sapienza, Bruno Botta, incaricato dalla Rettrice Antonella Polimeni di coordinare l’operazione, nè soprattutto Mara Matta, coordinatrice del corso dI Global Humanities, che più di ogni altra si è spesa per questi ragazzi, da quando la presa di Kabul da parte dei talebani ha messo per strada migliaia di studentesse e bloccato il processo di accettazione di centinaia di altre negli atenei esteri, che è il motivo per cui le università italiane hanno iniziato a lavorare subito su nomi concreti e verificabili.
Adesso bisognerà appunto “coordinare i ragazzi”, come dicono. E non sarà facile neanche questo. In ateneo, tutti hanno dato una mano, sentendosi inevitabilmente un po’ Oskar Schindler e contando i tantissimi nomi femminili: queste ragazze ci servono, hanno la pre-accettazione, hanno dita sottili, hanno teste allenate, hanno tutto quello che voi non volete e noi sì. Sono state recuperate le mail dei non-accettati, con le segreterie tutte aperte e quella del Rettorato all’opera senza sosta, perché magari i professori saranno insopportabili, ma gli studenti son tutti figli. Ogni giorno, un, due, dieci mail perché i nomi di tutti circolavano, e tutti smistavano e indirizzavano le richieste evidentemente serie (molti anche i mistificazioni, ahinoi) a lei, a Mara, perché verificasse l’identità di ciascuno degli sconosciuti con i suoi omologhi dell’ateneo di Herat.
A noi, che ci eravamo offerte di far qualcosa già la sera di Ferragosto, toccava la raccolta fondi, l’identificazione di case di accoglienza, di supporti, di aiuti da parte della moda, del made in Italy che in questi, dopo un momento di titubanza per i primi Whatsapp mentre si trovavano tutti al mare e in montagna, non si è mai tirato indietro. Qualcuno, una grande firma del lusso internazionale con sede a Roma e che ha già portato in salvo diversi attori, ci ha detto subito di sì, pregandoci di mantenere il massimo riserbo: “Non sono cose su cui cerchiamo pubblicità. Le facciamo e basta e, data la situazione, senza lasciare tracce di nomi di nessuno”. Stessa risposta da associazioni, altri grandi brand, catene della moda pop: ogni due-tre giorni mandavamo aggiornamenti perché nulla si può fare e nessuna macchina si può mettere in moto se non sai chi, quando e come arriverà a quel dannato aeroporto.
Qualcuno, nel made in Italy dell’industria attenta sì all’accoglienza, ma anche all’opportunità, si chiedeva come mai non vi fosse il coordinamento della Crui, la Conferenza dei Rettori. Una settimana fa, una studentessa era riuscita a entrare all’aeroporto con il fratellino di sette anni, sembrava che ce l’avesse fatta, invece era stata respinta a calci perché con gli aguzzini va così. Sabato scorso, di prima mattina, avevamo mandato in lettura a Mara Matta l’intervista del Foglio a Giovanna Foglia, l’attivista di grande famiglia banchiera che ha organizzato un volo di salvataggio da Kabul. “Grazie cara. Speriamo di avere presto un’altra storia come questa da raccontare”. Le studentesse erano già state respinte all’aeroporto. Nessuno ancora lo sapeva. Avevamo osservato, “ma non stiamo fermi, eh?”. “Fermi mai”.