I liberali tedeschi vanno bene nei sondaggi e sognano una coalizione
Ora che manca meno di un mese al voto che sancirà l'ingresso della Germania nell'èra post Merkel, l'Fpd sembra avere il vento in poppa. Pesa anche l'inadeguatezza di Laschet, candidato della Cdu
Francoforte. Se quest’inverno aveste detto a Christian Lindner, capo del partito liberale tedesco Fpd, che a poche settimane dalle elezioni i suoi si sarebbero ritrovati in doppia cifra nei sondaggi, probabilmente non vi avrebbe creduto. Dopo il gran rifiuto, quando nel 2017 a sorpresa si sfilò dalle trattative per formare il governo, era precipitato in tutte le classifiche di popolarità, posizionandosi agli ultimissimi posti fra i politici meno apprezzati dall’elettorato tedesco. E per anni il suo partito ha temuto di dover rivivere l’incubo del 2013, quando alle elezioni finì sotto la soglia del 5 per cento e rimase fuori dal Bundestag, il Parlamento federale.
Invece ora che manca poco meno di un mese al voto che sancirà l’ingresso della Germania nell’èra post merkeliana i liberali sembrano avere il vento in poppa. Le ultime rilevazioni li danno al 13,5 per cento, messi addirittura meglio rispetto alle elezioni del 2017 che già erano state un discreto successo. Non solo: anche nell’ultima importante elezione regionale prima delle politiche, in Sassonia-Anhalt, hanno ottenuto un ottimo risultato, ed entreranno nel governo guidato da Reiner Haseloff insieme a Cdu e Spd. Un’inversione di rotta rapidissima, e per certi versi inaspettata.
Secondo molti osservatori le ragioni di questo repentino cambiamento sono essenzialmente due. La prima ha a che fare con la pandemia. Dopo un anno e mezzo di restrizioni e lockdown, hard e light, e con una campagna vaccinale che inizia a prendere velocità dopo un inizio segnato da grande disorganizzazione, i tedeschi sentono la stanchezza. In gran parte condividono la prudenza predicata dagli scienziati e da Angela Merkel, ma chiedono alla politica di trovare una via di mezzo ragionevole e sostenibile fra gli zero contagi e le riaperture indiscriminate. Lindner e i liberali sono stati spesso i paladini del ritorno alla normalità, pur in sicurezza. Hanno più volte sottolineato l’importanza di tenere a mente anche i costi economici della pandemia, e di considerare quanto le chiusure forzate pesassero sui bilanci delle famiglie e delle imprese, e quanto rappresentassero anche una possibile violazione dei diritti fondamentali dei cittadini tedeschi sanciti nel Grundgesetz: sono stati loro i critici più feroci del coprifuoco che nei mesi scorsi era stato introdotto nel paese.
Sono stati però abbastanza furbi da percorrere la strada delle riaperture con ragionevolezza e serietà. Hanno lasciato ad altri il variegato mondo di complottisti e Querdenker –soprattutto ad AfD – e si sono rivolti invece a quell’elettorato conservatore che mal digeriva la cautela merkeliana, ritenendola eccessiva, senza però finire dalle parti dei pazzi che manifestavano con i capelli di stagnola in testa, senza gridare alla Corona-Diktatur o altre sciocchezze simili. Sono riusciti a porsi come gli interpreti più affidabili di chi vuole riaprire senza mettere a repentaglio tutti gli sforzi di contenimento fatti finora, anche più di numerosi esponenti della Cdu, compreso Armin Laschet, candidato alla Cancelleria dei conservatori e capo del partito.
E proprio Armin Laschet è probabilmente la seconda ragione del successo della Fdp. Il candidato dell’Union, il blocco conservatore composto da Cdu e Csu, non è mai stato molto popolare, ma in queste ultime settimane sta vivendo un vero tracollo. Fra la pessima gestione della catastrofe delle alluvioni in Renania di metà luglio, condita dalla figuraccia della scomposta risata a favore di telecamere mentre il presidente Steinmeier ricordava commosso le vittime, e una campagna elettorale sostanzialmente inerte quando non costellata da passi falsi, Laschet è ormai impopolare a livelli storici. Nei sondaggi l’Union è al 20 per cento, un dato che se confermato nelle urne sarebbe devastante.
L’inadeguatezza di Laschet spinge molti elettori verso la Fdp. La tradizionale affinità fra la Cdu e i liberali, che si dividono il blocco di centrodestra del voto tedesco, significa anche che la fiducia nel leader rappresenta un valore aggiunto, un criterio rilevante quando si tratta di mettere la crocetta sulla scheda. E in questi mesi Laschet ha mostrato di essere molte cose, ma decisamente non un valore aggiunto. Da questo punto di vista, Lindner – nonostante i suoi ben noti difetti, come ad esempio l’egocentrismo esasperato e un certo gusto per la battuta sessista – batte Laschet tre a zero.
L’obiettivo dei liberali per queste elezioni è chiaro: tornare al governo. Lo scenario è propizio. Con due partiti sopra il 20 per cento (Union e Spd) e un terzo che forse potrebbe arrivarci (I Verdi), il panorama politico tedesco post voto sarà incredibilmente frammentato, e per formare un governo toccherà parlare con quasi tutti. Il probabile 13 per cento della Fdp risulterà a questo punto preziosissimo, che si vada di nuovo in direzione di una Jamaika-Koalition, insieme a conservatori e Verdi, o che si provi anche a livello federale la coalizione-semaforo (con Verdi e SPD) che al momento governa nel Land della Renania-Palatinato. Le premesse perché i liberali riescano a strappare ministeri importanti ci sono tutte.
Con rapporti di forza profondamente mutati, e senza un peso massimo come Merkel a occupare il centro della scena, c’è da scommettere che questa volta Lindner il tavolo delle trattative non avrà alcuna intenzione di abbandonarlo.