Tra kabul e bruxelles
L'asse Macron-Johnson e il duello elettorale tedesco. L'Ue ripensa alla difesa comune
L'idea di una "zona sicura" a Kabul sbiadisce nel voto al Palazzo di vetro: nella risoluzione restano solo appelli vaghi. Ma nel dibattito europeo, anche nella Germania alle elezioni, l'urgenza di una sicurezza gestita in proprio si sente molto
Immaginate una Legione straniera europea a Kabul, ha scritto Edward Lucas sul Times, con un team di diplomatici altamente addestrati, funzionari e militari che lavorano con le forze speciali per organizzare l’evacuazione degli afghani. Immaginate un peso economico europeo capace di condizionare l’azione dei paesi che confinano con l’Afghanistan, in modo che si prendano la responsabilità di gestire il post ritiro. Immaginate dei leader in grado di dare forma alla strategia e alla politica di comunicazione dell’Europa. “In poche parole, immaginate un’Europa muscolare e lungimirante – scrive Lucas, esperto di affari europei e di relazioni transatlantiche – pronta a portare il peso di preservare un mondo sicuro e prospero. È una fantasia”, ma è una fantasia che adesso diventa, ancora una volta, urgente, e non soltanto perché il vuoto americano si fa sentire in modo brutale.
L’iniziativa del presidente francese, Emmanuel Macron, assieme al premier britannico Boris Johnson, per creare una “buffer zone” a Kabul per agevolare le evacuazioni è una risposta a questa urgenza, ma nella discussione ieri all’Onu si è parlato più di non ben definiti “impegni” che i talebani devono rispettare e molto meno della possibilità di introdurre un “zona sicura” in Afghanistan. La risoluzione votata ieri è molto più sbiadita rispetto alle premesse: non c'è la buffer zone, ci sono inviti vaghi a mettere in sicurezza l'aeroporto di Kabul, che evidentemente sicuro non è.
La presa di consapevolezza in Europa però sulla propria difesa e sulla propria strategia – una autonomia efficace, insomma – resta, e si è sentita anche nel duello tv fra gli sfidanti alle elezioni tedesche.
Domenica sera, Armin Laschet della Cdu, Olaf Scholz dell’Spd e Annalena Baerbock dei Grünen hanno fatto il loro primo dibattito (ce ne saranno altri due). Non si può dire che l’Europa sia stata al centro dei loro discorsi, tutt’altro: in questo momento, a meno di un mese dal voto, interessa la credibilità dei candidati, la loro postura, il crollo di Laschet e l’ascesa di Scholz, che si fa fotografare con le dita a diamante, come Angela Merkel, e parla in modo calmo e astuto proprio come la cancelliera. Interessa più in che mani finirà l’eredità della Merkel, ma proprio perché è un bene prezioso per la Germania lo diventa anche per l’Europa. Così la capacità di difendersi, di emanciparsi dalla copertura americana senza per questo tradire l’Alleanza atlantica né la relazione transatlantica è entrata nella discussione. “Dobbiamo rafforzare l’Europa in modo da non dover delegare la politica di difesa ed estera all’America – ha detto il conservatore Laschet – Dobbiamo rendere più efficace la nostra forza militare”.
La conversazione è subito virata sulla questione dei droni armati, che è una delle forme del rafforzamento della Bundeswehr ed è anche uno dei tormenti della politica di difesa tedesca: se ne discute da anni, senza prendere una decisione. Scholz, che è molto cauto, ha detto: “Non c’è stato sufficiente dibattito”, che è una cosa non vera (la ricercatrice Ulrike Franke ha fatto un thread interminabile su Twitter citando tutte le volte che se n’è parlato) ed era un tentativo per non dire che l’Spd, in realtà, non vuole spendere nulla per i droni armati. Laschet e Scholz hanno iniziato a battibeccare, la Baerbock ha detto che il 2 per cento di spese per la Nato “è arbitrario”, e poi si è passato ad altro.
Una difesa comune europea a costo zero è impensabile, così come lo è una difesa europea alternativa alla Nato. Per questo le iniziative di Macron, che aveva dichiarato che l’Alleanza è in coma, sono spesso vissute con disagio dagli altri europei e ovviamente dalla Nato. La Russia, che osserva interessata, aveva fatto intravvedere il proprio favore all’ipotesi di una “buffer zone” a Kabul, ma al Palazzo di vetro si è astenuta, come la Cina.