L'Ucraina guarda la crisi a Kabul e ha due preoccupazioni

Micol Flammini

Kiev rimane fino all’ultimo in Afghanistan e aiuta anche gli alleati a evacuare cittadini e collaboratori. E' iperattiva, vede l'America sempre più curva e vuole aiutarla a rialzarsi: anche per la sua stessa sicurezza

C’è una nazione con forti ambizioni atlantiste che guarda con una preoccupazione maggiore di altri al ritiro americano dall’Afghanistan. Quasi avesse avuto ora la prova che l’America è tutta curva su se stessa, non vede attorno a sé, e  chi in questi anni aveva fatto affidamento su Washington deve imparare a convivere con questo atteggiamento. Se può, deve anche cercare di correggerlo. E’ il caso dell’Ucraina, per la quale la Nato è  un obiettivo e l’America una garanzia di sicurezza. Dall’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca gli ucraini pensavano che Washington sarebbe stata più presente di prima nella loro vita, ma questo ritiro confusionario è   fonte di preoccupazione per un paese che da sette anni ha una guerra che si combatte sul suo territorio tra esercito e milizie filorusse finanziate da Mosca e che sente sempre più invadente la pressione del Cremlino. L’Ucraina è uno di quei paesi che cercano di contare il più possibile, nonostante le capacità. E  anche in Afghanistan ha cercato di dare il suo contributo, che è stato prezioso. Ha deciso di rimanere fino all’ultimo giorno possibile e di aiutare. Se c’era da andare a cercare attivisti, collaboratori, giornalisti afghani che volevano lasciare Kabul ma non riuscivano a raggiungere l’aeroporto, Kiev cercava di andare a prenderli e di scortarli fino al loro aereo. Domenica il capo di gabinetto del presidente Zelensky ha detto che l’Ucraina ha evacuato da Kabul  i suoi cittadini, oltre a seicento  afghani. Ma non si è presa in carico soltanto i suoi collaboratori, ha deciso di dare una mano anche ad altri. 

 

Il Canada ha messo fine all’operazione di evacuazione giovedì scorso, ha portato via meno di quattromila persone, ma alcuni collaboratori erano rimasti indietro. L’Ucraina, iniziando un’operazione molto pericolosa, ha organizzato il trasporto di alcuni degli afghani che negli anni avevano collaborato con il Canada e li ha portati fino a Kiev. Dove sono stati poi raggiunti dai  canadesi. L’Ucraina si è presa un rischio grandissimo, ma non voleva contare meno di altri, voleva che gli alleati la sentissero presente. 

 

Ieri è iniziata la visita di Volodymyr Zelensky a Washington, il presidente ucraino verrà  ricevuto alla Casa Bianca, aveva sperato in un invito anche durante l’Amministrazione Trump, ma gli era stata negata come forma di ricatto: l’ex presidente americano voleva che il suo omologo ucraino aprisse un’inchiesta sugli affari del figlio di Biden. L’arrivo dell’attuale presidente era stato accolto con un sospiro di sollievo, ancora di più il suo “America is back”. Kiev sperava che Biden   avrebbe puntato i piedi contro la Russia, agevolato l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e sensibilizzato gli europei. Ma al di là delle parole, la prima azione che il nuovo presidente americano ha intrapreso e che riguarda l’Ucraina è stata il via libera al gasdotto Nord Stream 2, che è una minaccia alla sicurezza e all’economia di Kiev. Un regalo a Vladimir Putin, ad Angela Merkel e un  pericolo per  Zelensky. 

 

Nikolai Patrushev, segretario del Consiglio di sicurezza russo, lo ha detto chiaramente a Kiev: guarda Washington come tratta i suoi alleati, prima l’Afghanistan, poi toccherà all’Ucraina. Per Biden la visita di Zelensky servirà anche a far vedere che ci tiene ancora al suo ruolo internazionale. Zelensky ha bisogno di quest’alleanza, è vitale e ce la sta mettendo tutta, vuole far capire a Biden che se l’America è curva su stessa può sempre contare sui suoi alleati per rialzare la testa. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)