Alla corte del diplomatico russo più famoso in Afghanistan

Micol Flammini

Zamir Kabulov sa tutto del paese, dispensa consigli ad ambasciatori e generali, ha un nome che sembra essergli stato cucito addosso e adesso tratta con i talebani

Roma. Zamir Kabulov sa tutto dell’Afghanistan. E’ uno dei diplomatici che frequentano il paese da più tempo, oggi è l’invitato speciale del presidente e affianca l’ambasciatore Dmitri Zhirnov, è esperto di diplomazia e anche di disfatte, visto che prima di vedere quella americana  ne aveva vissuta un’altra, quella sovietica, che sicuramente a Kabulov deve aver fatto più male. Negli anni, tra vicende alterne, trasferimenti in Pakistan e in Iran – uomo della diplomazia prestato al Kgb – è diventato il russo più esperto in faccende afghane, punto di riferimento per Mosca e non solo. Kabulov è uzbeko, ma anche dopo la caduta dell’Unione sovietica ha continuato a rappresentare la Russia. Oggi è tra coloro che sono rimasti in Afghanistan con l’ambasciata russa parzialmente svuotata ed è stato lui uno dei primi a incontrare i talebani dopo il 15 agosto. La Russia non si pone dubbi sul   rispetto dei diritti umani, quello che le interessa è che l’Afghanistan non diventi un problema, una bomba pronta a esplodere e creare problemi in paesi che confinano con Mosca. 

I rapporti di Kabulov con l’Afghanistan sono antichi.  Era stato a Kabul da uomo del Kgb, poi nel 1995 fu mandato a trattare con i talebani per il rilascio di soldati russi presi in ostaggio, è stato uno dei pochi occidentali a incontrare il mullah Omar ed è tornato in Afghanistan come consigliere per una missione delle Nazioni Unite. Del paese sa tutto, dei talebani anche, ed è stato il punto di riferimento di vari diplomatici anche non russi. E’ una sua gloria che non smette di raccontare, ma di cui non fa altro che lamentarsi: “Ascoltano ma non sentono”, ha spesso detto nelle interviste riferendosi alla corte di ambasciatori e generali che negli anni gli hanno chiesto consiglio. Per Kabulov il passato è una ricchezza, un testo da studiare per correggere il futuro. Non c’è uomo che conosca la situazione e i rischi meglio di lui ed è da vent’anni che non fa altro che ripetere che l’arrivo degli americani è un copione già visto. Per lui la presenza degli Stati Uniti in questi anni è stata una garanzia, la certezza che finché gli occidentali sarebbero rimasti l’Afghanistan non sarebbe diventato un problema per la Russia, perché è questo che teme Mosca più di tutto: meglio combattere i terroristi a Jalalabad che a Ashgabat, in Turkmenistan.  
Di prendere il posto dell’America il Cremlino non ha molta voglia, tornare in Afghanistan è doloroso, rischioso. Preferisce invece appoggiare un governo forte, almeno in apparenza,  anche se talebano, un governo che sia in grado di proteggere i suoi confini e non lasci uscire profughi: teme che i rifugiati poi dalle repubbliche dell’Asia centrale arrivino in Russia. E’ convinto che più si tratterà con i talebani, più i problemi verranno evitati.  Oggi Kabulov  cerca di convincere gli occidentali a seguire l’approccio russo, di aiutare finanziariamente il paese, di scongelare le riserve di denaro dell’Afghanistan per evitare una catastrofe umanitaria e quindi maggiore instabilità. La Russia non vuole stare dentro, ma ai margini, preservare i confini, evitare il peggio: finge di credere nella svolta moderata dei talebani e per questo nei media statali non vengono più chiamati terroristi, ma radicali. 

 

Kabulov è a capo di questa strategia, dopo anni ha l’opportunità di dimostrare di essere davvero l’uomo dell’Afghanistan, il diplomatico più longevo ed esperto. Dopo tutto, scherza lui, il destino ce l’ha scritto anche nel cognome, che fa risalire a un termine in arabo antico che vuol dire “capacità”, ma sembra essergli stato cucito addosso.  
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)