L'Ue cerca muscoli militari che in parte ha già (ma non usa)

David Carretta

Dopo la ritirata in Afghanistan, i leader europei ragionano sulla difesa comune. L'insidia è la volontà politica di usarla

Da Emmanuel Macron a Charles Michel, da Josep Borrell ai candidati cancellieri in Germania, i leader dell’Unione europea sembrano voler trarre la stessa lezione dalla disfatta in Afghanistan: la decisione unilaterale degli Stati Uniti di ritirarsi senza consultare gli alleati della Nato e l’incapacità dei paesi europei di garantire la sicurezza dell’evacuazione dall’aeroporto di Kabul dovrebbero servire da “sveglia” per spingere l’Ue a scegliere la strada dell'autonomia strategica e della costruzione di una difesa comune. “L’Europa della difesa, l’autonomia strategica, è adesso”, ha detto Macron al Journal du dimanche. “L’Afghanistan ha offerto una dura dimostrazione” del fatto che “l’influenza europea sarà la nostra più grande sfida nei prossimi anni”, ha detto ieri il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, al Forum strategico di Bled: “Non abbiamo bisogno di un altro evento geopolitico di questo tipo per capire che l’Ue deve arrivare a una maggiore autonomia decisionale e a una più grande capacità di azione nel mondo”. Sul New York Times l’Alto rappresentante, Josep Borrell, ha spiegato che in Afghanistan “noi europei ci siamo trovati – non solo per le evacuazioni dall’aeroporto di Kabul ma anche più in generale – a dipendere dalle decisioni americane” e questo “dovrebbe servire da sveglia”. 

 

 

La lezione afghana sarà discussa oggi e domani in due riunioni informali dei ministri della Difesa e degli Esteri dell’Ue. Borrell spingerà per la creazione di una “Joint entry force” europea (Forza d'ingresso iniziale) di 5 mila soldati pronti a dispiegarsi in modo rapido e robusto. Il progetto dovrebbe vedere la luce nel marzo del 2022. Ma, come ha ricordato l’ex premier svedese Carl Bildt, “gli ultimi due decenni sono lastricati di dichiarazioni di creazione di diverse forze e battaglioni (dell’Ue), ma sono usati raramente o mai”. Già nel 1999, all’uscita dalle guerre dei Balcani, al Consiglio europeo di Helsinki i capi di stato e di governo si erano impegnati a mettere a disposizione 50-60 mila soldati da mobilitare in 60 giorni. Tra i compiti c’erano operazioni di salvataggio come l'evacuazione dall’aeroporto di Kabul, oltre a missioni di mantenimento della pace, disarmo e stabilizzazione, anche fuori dal quadro dell’Onu. Di fatto non se ne fece nulla.

 

La narrazione, alimentata soprattutto dalla Francia, è che l’Afghanistan per l’Ue sia un trauma analogo a quello vissuto dai francesi per Suez nel 1956. Gli Stati Uniti votarono con l’Unione Sovietica all’Onu e sostennero l’Egitto contro Francia e Regno Unito, che erano intervenuti per prendere il controllo del canale. Parigi reagì accelerando la creazione di una forza di dissuasione nucleare. Tornato al potere due anni dopo, Charles de Gaulle uscì dal comando integrato della Nato nel 1966. Dietro al progetto di Macron di autonomia strategica per l’Ue in sostanza c’è la stessa dottrina: gli interessi europei sono incompatibili dalla dipendenza degli Stati Uniti per la sicurezza. “L’Ue ha cittadini da proteggere, interessi da difendere e valori e un ordine internazionale basato sulle regole da promuovere”, ha detto Michel: “Abbiamo bisogno di più autonomia strategica perché vogliamo essere più forti e influenti”. Per l’Ue serve “una nuova fase nelle capacità di sicurezza e difesa collettiva, in particolare sull’onda della crisi afgana”, ha spiegato Michel. 

 

 

La “Joint entry force” non sarà la “force de frappe” della Francia. I negoziati sono in corso da tempo, ma i compiti saranno molto più limitati rispetto a quelli immaginati nel 1999 al Consiglio europeo di Helsinki. “I 5 mila uomini sono una dimensione adeguata per rendere sicuro l'aeroporto di Kabul”, spiega al Foglio una fonte dell’Ue. Al di là di qualche operazione militare delimitata, la “Joint entry force” rischia di fare la fine di altri progetti di difesa rimasti incompiuti. Nel 2004 era stato lanciato il progetto dei Battlegroups dell’Ue: una serie di battaglioni da 1.500 uomini da dispiegare in 15 giorni in aree di crisi distanti e condurre missioni di combattimento in ambienti ostili. I Battlegroups non sono mai stati usati per le difficoltà a trovare un accordo tra governi sulle missioni. Nel 2007 era stato creato un quartier generale militare dell’Ue – con lo strano nome di “Capacità militare di pianificazione e condotta” – che si è limitato a coordinare missioni di formazione in Somalia, Mali e Repubblica centroafricana. Secondo Bildt, il problema non è che all’Ue “mancano muscoli militari, ma che manca la volontà politica di usarli”.

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