Il ritorno della Spd, o il cambiamento in versione tedesca
Il vice socialdemocratico di Angela Merkel, Olaf Scholz, per ora in testa nei sondaggi. Non cambia l’attaccamento della Germania alla dialettica costituzionale tradizionale del suo sistema dei partiti. Lezioni per l’Italia
I sondaggi tedeschi danno per ora in testa, a sorpresa, il vice socialdemocratico di Frau Merkel, Olaf Scholz. Pare abbia qualcosa del talento naturale di un Helmut Schmidt, il solito impasto di sobrietà e competenza al servizio di una logica politica di sistema. Vedremo se il primato virtuale di oggi sarà l’esito effettivo di domani. Intanto dalla Germania sembra venire una lezione: i governi di coalizione nazionale non sono necessariamente la tomba del partner minore, puoi farcela anche partendo da una posizione di minoranza della maggioranza, gli spazi di popolarità e gradimento si liberano anche per chi figura subalterno in un progetto guidato da altri. L’altra lezione, ancora più rilevante, è che certe cose sopravvivono anche se sembrano destinate al modernariato, alla chincaglieria della storia.
Il partito popolare di Merkel, per via di lei e del predecessore, due tipi a loro modo grandiosi e decisivi nel ciclo dell’unificazione nazionale tedesca dopo la fine della Guerra fredda, due colossi della politica europea e mondiale, sembrava inscalfibile, tanto più da chi ne ha dovuto subire la prevalenza storica negli ultimi decenni; la Cdu-Csu trova invece nell’associato minore, il partito socialdemocratico dalla storia lunga e consunta, una possibile alternativa, almeno per quanto riguarda la guida della Cancelleria di Berlino, che non è poco. Chissà, forse è un gioco meramente virtuale, ma che oggi guidi la corsa elettorale un partito di radici sindacali, di cultura industrialista, un partito lavorista e riformista che cavalca l’economia sociale di mercato e sottolinea di per sé in essa il ruolo dello stato, che sia avanti di qualche lunghezza un partito onusto di vecchia gloria ma polverosa, e fino a ieri senza futuro per tutti gli osservatori, è una novità che interessa l’Europa intera, ovviamente.
I Popolari sono il partito della nazione e hanno consumato un lungo ciclo storico, i Liberali garantiscono l’organizzazione delle élite, i Verdi e l’estrema sinistra sono formazioni sempre promettenti ma sempre anche marginali, vuoi per la diffidenza verso le modernizzazioni ideologiche vuoi per la tendenza centrista dell’elettorato tedesco, ed ecco risorgere la vecchia socialdemocrazia. Si sente nell’aria la ricerca di un ancoraggio alternativo, di un cambiamento che punti anche sulla continuità, sebbene al fascino personale di Scholz e allo sbiadito colore del popolare Laschet si attribuisca sopra tutto lo stato dell’opinione al momento. Socialdemocrazia tedesca, dopo la stagione robusta del popolarismo erede di Adenauer e Erhard, dopo Brandt e Schmidt, vuol dire ricominciare da capo, vuol dire eterno ritorno dell’identico, vuol dire stabilità e governabilità in dimensioni quasi mostruose.
C’è dunque in Europa chi non ama gli amalgami, chi preferisce il filo rosso della genealogia politica sicura, e per quanto molto sia cambiato, i sondaggi dicono che non cambia l’attaccamento della Germania, uscita vincitrice ma cauta dal trauma del Reich, alla dialettica costituzionale tradizionale del suo sistema dei partiti. Ce ne fossero le condizioni minime, e non sembra proprio ci siano, sarebbe una lezione anche per la politica italiana e la sua confusa nomenclatura.