Nel paradiso dell'eguaglianza
La figaggine di voler tassare i ricchi
Con la scritta in rosso sull’abito bianco, Alexandria Ocasio-Cortez lavora per il solito paradiso dell’eguaglianza. Punto debole: piace tanto a quelli che vorrebbe sgozzare come tacchini nel giorno del Ringraziamento
Ha poco più di trent’anni, bella faccia e bel corpo, eletta giovanissima alla Camera dei rappresentanti due volte a Queens e nel Bronx, dove nacque con sangue portoricano nelle vene, è socialdemocratica, nemica di Wall Street e del capitalismo, è andata alla costosa festicciuola di Anna Wintour, il Met Gala, vestita di un abito bianco fasciante con su stampato in caratteri rossi allegri: tax the rich, tassiamo i ricchi. Un caso di vanità? Un caso di ipocrisia? Non pare, al di là del naturale compiacimento per un Sé molto ben presentabile.
Alexandria Ocasio-Cortez ama posare da quel che è. Una combattiva, nata per fare sensazione, una specie di Chomsky femmina, una ultrasanderista che vuole l’istruzione e la sanità gratuite, la fine del sistema carcerario americano, lo smantellamento delle reti protettive antimmigrazione, vuole le rinnovabili e le infrastrutture a zero emissioni, un sistema fiscale draconiano contro il profitto eccetera, e persegue tutto questo nella democrazia rappresentativa ma con l’azione diretta. Quel che AOC desidera, e per cui lavora anche al Met Gala, è il solito paradiso dell’eguaglianza, del rigetto di privilegi e emulazione competitiva, è umanitarismo e solidarietà sociale al massimo grado, un taglio netto ai parametri della libertà, del mercato e della concorrenza.
Il suo punto di forza non è solo charme, buoni discorsi febbrili e lucidi, posture emotive forti, provocazione mondana, figaggine. Aggiunge al suo programma politico e sociale, ancora scandaloso per il grosso della classe media americana, un uso astuto del senso di colpa del capitalismo più estremo e sfacciato, che non riesce a mantenere fino in fondo la promessa della mobilità, il sogno individualistico. L’odio di sé dei capitalisti per molto tempo ha preso la forma della filantropia, perché il sistema di organizzazione della società lasciava indietro minoranze alle quali era giusto provvedere con il ricasco dello sviluppo e dei grandi profitti che lo muovevano. Non dimenticare i più bisognosi, avverte sempre il New York Times sotto Natale, e questa è la cartolina dei buoni propositi. Ma ospedali, istruzione, ricerca, emarginazione urbana sono da sempre il terreno privilegiato di un intervento a sostegno, fatto anche di grandi campagne planetarie per lo sradicamento della povertà estrema e della malattia, che è blasone e orgoglio del capitalismo e dei capitalisti, un modo di essere piuttosto che un’elemosina.
La socialdemocrazia che non ha più timore di sé stessa, e che fa del radical chic un’arma invece che una condizione psicologica imposta dalla propaganda avversaria sulla gauche caviar, trova un cuneo di penetrazione efficace nel momento in cui i neediest, i vulnerabili, non sono più lo scarto dello sviluppo impetuoso e dell’ascensione possibile di tutti verso il successo ma una piaga sociale diffusa, nella percezione dell’immobilismo e della trasformazione del profitto in privilegio consolidato, pietrificato. E’ a quel punto che i ricchi corteggiano un abito fasciante in cui è scritto che bisogna tassarli, senza pensare più alle conseguenze di un sistema che appiattisce e limita, in cuor loro sperando di trasformare il socialismo in un business efficace e redditizio. Il punto debole di AOC è proprio qui, nel fatto di piacere da morire a quelli che vorrebbe sgozzare come tacchini nel giorno del Ringraziamento.