Mosca ad alta tensione
Si vota in Russia e Putin lascia perdere anche la parvenza di legalità
Candidati sabotati (o in carcere), "istruzioni" ai seggi, gli statali costretti al voto senza anonimato. Se l'Ocse non riconoscerà le elezioni, scatterà il declassamento in dittatura come la Bielorussia: il Cremlino sembra accettare la sfida
Mentre la Russia si prepara a eleggere la Duma, in un lungo fine settimana elettorale che è iniziato ieri e si concluderà domenica, Vladimir Putin annuncia il suo isolamento domiciliare a causa di “decine di casi di Covid” tra la sua servitù. Probabilmente una coincidenza, che però diventa simbolica della tensione, e dello smarrimento, con cui il Cremlino sta vivendo questa consultazione elettorale dall’esito apparentemente scontato.
E’ dal 2003 che nella Duma entrano soltanto i quattro partiti “autorizzati” – il fronte putiniano Russia Unita e i tre “oppositori di sua Maestà”, i comunisti, i “liberaldemocratici” del nazionalista Vladimir Zhirinovsky e la “sinistra putiniana” di Russia Giusta – e dal 2016 non ci sono nemmeno parlamentari critici eletti in circoscrizioni uninominali, con la camera bassa del Parlamento russo che si guadagna il soprannome di “stampante impazzita” che convalida leggi scritte dall’esecutivo. Stavolta, i critici del regime che sono riusciti a mettere i loro nomi sulla scheda si possono contare sulle dita di una mano, mentre a centinaia di candidati è stato impedito di correre. Per tutto il resto, ci sono i brogli: in rete circolano filmati di funzionari che impartiscono “istruzioni” ai seggi, dove sono state tolte le webcam di controllo, e gli statali vengono costretti a un voto online che non garantisce l’anonimato. Gli osservatori dell’Osce hanno annunciato che non potranno monitorare il voto a causa degli ostacoli posti dalle autorità russe, e la bocciatura delle elezioni russe come non democratiche e non libere da parte delle democrazie occidentali appare molto probabile.
Il mancato riconoscimento delle elezioni declasserebbe definitivamente la Russia come dittatura, accanto alla Bielorussia. Il Cremlino però appare pronto a pagare questo prezzo, e sembra aver paura di queste elezioni, come mostra il frenetico attivismo a silenziare, oscurare, censurare e proibire, che si è intensificato negli ultimi giorni prima del voto: l’ultima vittima è Google Docs, la piattaforma sulla quale i sostenitori di Alexey Navalny hanno pubblicato la lista dei candidati da appoggiare per il loro “voto intelligente”.
Il principale avversario del Cremlino non corre alle elezioni: è in carcere, con le sue organizzazioni dichiarate “estremiste” e i suoi siti oscurati. Ma gli attivisti che alla vigilia del voto hanno srotolato in piazza Rossa lo striscione “Navalny libero! Putin in galera!”, per venire arrestati pochi secondi dopo, mostrano il non detto di queste elezioni. I sondaggi ufficiali assegnano a Russia Unita circa il 24 per cento delle intenzioni di voto nel proporzionale: è vero che si è quasi dimezzata dalle elezioni del 2016, e che un sistema di fatto monopartitico richieda percentuali bulgare, però le elargizioni a militari, poliziotti e pensionati, e le pressioni ai dipendenti pubblici, dovrebbero garantire il sostegno del nocciolo elettorale del regime, mentre una campagna repressiva e aggressiva ha scoraggiato gli elettori più critici, che il Cremlino preferirebbe non vedere ai seggi. Il problema di Putin però è che l’altra metà dei 450 deputati della Duma viene eletta in circoscrizioni uninominali, dove le manipolazioni sono più facili e di solito stravince Russia Unita. E’ lì che punta il “voto intelligente” di Navalny: sostanzialmente si tratta di concentrare tutto il voto di protesta sul candidato che ha più chance, in una specie di referendum dove è più importante bocciare il candidato di Russia Unita che portare alla Duma un politico di proprio gradimento.
Una tattica che ha suscitato molte perplessità, anche perché le liste del “voto intelligente” sono composte per più della metà da comunisti. Il “voto intelligente” però si era mostrato già efficacissimo in alcune elezioni locali, e lo stesso Navalny lo considera il motivo principale per cui qualcuno ha deciso, un anno fa, di dare l’ordine prima di avvelenarlo e poi di incarcerarlo. L’idea è di rompere il monopolio dei putiniani, di introdurre nel sistema un conflitto aperto che lo metterà in crisi. Lo sforzo sproporzionato investito nel reprimere il dissenso – sono già in corso arresti preventivi di attivisti che potrebbero scendere in piazza contro i brogli elettorali – sembra in effetti indicare che il sistema putiniano tema anche il minimo squilibrio, e sia pronto a seguire la strada di Aljaksandr Lukashenka pur di evitarlo.