l'eredità della cancelliera

Com'è cambiata la Germania dal 2005 a oggi: l'èra Merkel in quattro grafici

Francesco Corbisiero

La creazione di milioni di posti di lavoro e la sfida vinta nell'accogliere e integrare i rifugiati. Ma anche i ritardi nella svolta green e in quella digitale. Un bilancio illustrato di quindici anni di governo

Molte luci, altrettante ombre. E’ ricco di chiaroscuri il bilancio che emerge dal lungo articolo pubblicato oggi dal Financial Times sugli oltre quindici anni di Angela Merkel alla guida della Repubblica federale tedesca. La cancelliera ha deciso di non correre come spitzen-kandidat della Cdu-Csu alle prossime elezioni legislative in Germania, in programma il 26 settembre, e con una sola mossa ha inaugurato la contesa per ricevere il suo testimone e aperto il dibattito sulla sua eredità di governo.

  

Dati alla mano e con grafici a corredo, il quotidiano finanziario londinese illustra l’èra Merkel su più versanti. I risultati più positivi riguardano gli scenari economici: da “malata d’Europa”, la Germania è diventata una grande potenza. Dal 2005 a oggi, il prodotto interno lordo pro capite è cresciuto due volte più rapidamente rispetto a quello di dviersi partner del G7 come Francia, Regno Unito, Canada e Giappone. In più, i livelli di disoccupazione registrati risultano i più bassi degli ultimi vent’anni.

 

 

Secondo i critici, la Merkel avrebbe goduto dell’onda lunga delle riforme, tra cui quella del mercato del lavoro, varate dal suo predecessore, il socialdemocratico Gerard Schröder e il “secondo miracolo economico” tedesco avrebbe avuto luogo senza che il governo guidato dalla leader realizzasse nulla di significativo. Se la Spd aveva preparato il terreno, la Merkel non è rimasta a guardare di fronte ai rovesci della crisi finanziaria del 2008: il sostegno alla domanda interna ha messo al riparo l’industria automobilistica tedesca e il finanziamento dei programmi contro la disoccupazione ha consentito il successo della Germania nella creazione di milioni di posti di lavoro. Per tutti, ma soprattutto per donne, anziani e immigrati.

 

 

Nel tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro tra i paesi del G7, la Germania è passata dal terzo posto del 2005 al primo del 2019. Anche se molti impieghi sono rimasti part-time e soltanto in una tra le trenta grandi aziende tedesche ad alta capitalizzazione figura al vertice una CEO donna. La sfida sulla capacità del paese di accogliere e integrare i rifugiati in fuga da Siria, Afghanistan e Iraq, cui la Merkel aveva aperto le porte durante la crisi migratoria dell’estate 2015, è stata vinta. Il tasso di occupazione è cresciuto anche tra di loro, anche se per impieghi a basso reddito.

 

 

L’introduzione del pareggio di bilancio nella Costituzione, avvenuto nel 2009 ha ridotto il modo drastico il debito pubblico, lasciando però il paese sprovvisto di risorse da investire nella trasformazione ecologica e in quella digitale.

 

 

La corsa verso la decarbonizzazione, partita già dal 2011, procede a rilento: la Germania è al di sotto della media tra i paesi Ue per emissioni pro capite di gas serra e quota di energia prodotta da fonti rinnovabili, mentre è al di sopra per percentuale di rilascio di Co2 da parte di nuovi veicoli. E, quanto all’economia digitale, la mancanza d’investimenti ha portato a una bassa penetrazione della banda larga ad alta velocità, al divario tra centri urbani e aree rurali nella velocità di connessione e ad un consumo di dati inferiori alla media.

 

In futuro serviranno nuovi indirizzi di governo a riguardo, ma spetterà al successore di Angela Merkel definirli, chiunque esso sia. 

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