No, il caos dei sottomarini non è un guaio solo francese
L’annullamento del contratto è un problema parigino che per certi versi lascia molti europei indifferenti. Ma rivela un aspetto preoccupante per i partner dell'Unione: nessuno può sentirsi al sicuro di fronte a una tale manifestazione dell’interesse nazionale americano
La rottura del contratto di fornitura di sottomarini fra la Francia e l’Australia rivela problemi più profondi della semplice perdita economica. Molti analisti insistono sulla disfatta politica e industriale francese, che non riuscendo a stare al passo con la strategia statunitense nel Pacifico avrebbe difficoltà ad accettare la decisione australiana. Certamente non si tratta di un bel momento, ma non è la prima volta che la Francia vede svanire qualche contratto “del secolo”. La Francia non è ingenua, e capisce benissimo il rafforzamento della postura anti cinese da parte degli Stati Uniti, essendo spesso vicina alla posizione di Washington in materia. La batosta industriale non basta quindi a spiegare la reazione francese.
Venerdì scorso la Francia ha presentato al Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti dell’Unione europea, la sua versione dei fatti. Sono poi trapelate le preoccupazioni di molti ambasciatori presenti. All’inizio della settimana il primo ministro del Belgio Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha denunciato la mancanza di lealtà degli Stati Uniti mentre la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen criticava la maniera con la quale i francesi sono stati trattati, chiedendo poi delucidazioni a Washington. Riuniti a New York lunedì sera i ministri degli Esteri dell’Unione hanno espresso la loro solidarietà. L’annullamento del contratto è un problema francese che per certi versi lascia molti europei relativamente indifferenti. Anzi, qualche concorrente industriale potrebbe gioire per l’accaduto. Ma rivela due aspetti preoccupanti per i partner europei. Il primo è che nessun paese europeo può sentirsi al sicuro di fronte a questa manifestazione di supremazia dell’interesse nazionale americano. Il secondo, fondamentale nel caso francese, sta nella totale mancanza di mediazione per mettere fine al contratto.
I francesi avevano avuto avvisaglie delle difficoltà australiane legate alla fornitura di sottomarini, fattore normale per uno sforzo pluridecennale. Da giugno scorso avevano sollecitato le autorità australiane e statunitensi in materia, anche in vista del G7 in Cornovaglia, senza ricevere indicazioni di un cambio di traiettoria. A fine agosto una riunione fra ministri degli esteri australiani e francesi si concludeva con un comunicato che insisteva sull’alto livello di cooperazione strategica fra i due paesi. Poche ore prima dell’annuncio del nuovo partenariato fra Stati Uniti e Australia, la notizia è iniziata a trapelare nelle redazioni di Washington, motivo per cui Antony Blinken è stato obbligato a confermare l’informazione con Parigi. La Francia scopre allora non soltanto di essere stata tenuta all'oscuro, ma anche di essere stata raggirata da parte dei vari rappresentanti statunitensi e australiani che durante l’estate hanno più volte esitato e mentito. Ed è questo il punto fondamentale che spiega l’importanza della reazione francese. Non è l’abbandono del contratto che pesa, ma la totale assenza di discussione e di informazione con un paese che viene presentato come amico e alleato. Ricordiamo che l’antica alleanza fra Stati Uniti e Francia comprende la mutua consapevolezza dei legami fra la dichiarazione d’indipendenza statunitense del 1776 e la dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, fattore non banale.
Nella fattispecie esisteva un’infinità di modi da parte degli Stati Uniti e dell’Australia per intavolare un discorso preliminare con i francesi, cercare una specie di compromesso o anche semplicemente avere la franchezza di annunciare una tale notizia direttamente, prima che uscisse sui giornali. Si tratta di un grave disfunzionamento, che deve preoccupare anche tutti gli alleati degli Stati Uniti. Da quando Joe Biden si è insediato al potere abbiamo assistito a una riaffermazione dell’importanza del legame transatlantico, un’apertura che è stata ben accolta da molti dopo le mazzate trumpiane. Si sono aperti negoziati fondamentali, ad esempio per un accordo transatlantico sul digitale. Già l’assenza di coordinamento sul ritiro dell’Afghanistan aveva lasciato molti partner insoddisfatti. Il ruvido trattamento riservato ai francesi nell’affare dei sottomarini aggiunge un altro tassello di preoccupazione sull’andamento delle relazioni transatlantiche. Riprendono vigore in Francia le voci che chiedono l’uscita dalla Nato, dichiarazioni che vengono anche rilanciate dai media russi o cinesi, pronti a seminare zizzania.
Ma al di là delle reazioni di superficie tutto questo pone al centro dell’attenzione l’affidabilità del partner statunitense. Se il leader del mondo occidentale non offre più un compromesso accettabile fra politica di potenza e condivisione dei valori, allora la sua leadership viene meno. Purtroppo, la tendenza già osservata sotto la presidenza Trump sta proseguendo con Biden, il che rende sempre più difficile in Europa un futuro di amicizia con gli Stati Uniti.
I conservatori inglesi