il caso
Il caos giuridico creato dall'arresto di Puigdemont
Il leader catalano è stato liberato, ma ha l'obbligo di restare in Sardegna
L'accusa è di sedizione per il referendum sull'indipendenza della Catalogna del 2017: il caso mostra la deriva della Spagna che con il suo sistema giudiziario politicizzato rischia di uscire dal quadro legale dell'Unione europea
L'arresto dell'ex presidente della Catalogna, Carles Puigdemont, giovedì ad Alghero, trascina l'Italia in un vespaio giuridico e politico che il governo avrebbe preferito evitare, ma mostra anche la deriva della Spagna che con il suo sistema giudiziario politicizzato rischia di uscire dal quadro legale dell'Unione europea. “E' ovvio che sono delle situazioni che magari, tutto sommato, non preferiremmo mai trattare, però nemmeno possiamo sottrarci” ha spiegato il sottosegretario Franco Gabrielli, prima che la Corte d'Appello di Sassari decidesse la liberazione di Puigdemont: ora è libero di lasciare la Sardegna, purchè torni il 4 ottobre in occasione della prossima udienza. Puigdemont, che è deputato europeo, è stato fermato dalla polizia di frontiera all'aeroporto di Alghero, dove doveva partecipare al festival AdiFolk e incontrare esponenti politici sardi. L'arresto è stato effettuato sulla base di un mandato d'arresto europeo emesso dal Tribunale supremo spagnolo il 14 ottobre del 2019. L'accusa è di sedizione per il referendum sull'indipendenza della Catalogna del 2017. Lo stesso Tribunale supremo ha inviato una lettera alla Corte di Appello di Sassari per confermare che il mandato è “attualmente in vigore”. Ma la lettera contraddice quanto aveva garantito la Spagna al Tribunale dell'Ue in un ricorso urgente per sospendere la decisione del Parlamento europeo dello scorso marzo di revocare l'immunità di Puigdemont.
Il caos giuridico si può riassumere così: nel diritto internazionale ed europeo un paese parla con una voce sola. Se un governo (o l'Avvocatura di stato, come nel caso di Puigdemont) dice al Tribunale dell'Ue che un mandato d'arresto è sospeso, impegna tutte le istituzioni del paese, compreso i giudici. E' su questa base che il 30 luglio il vicepresidente del Tribunale dell'Ue ha deciso di non sospendere la revoca dell'immunità parlamentare di Puigdemont. Non c'era urgenza di agire perché “le autorità spagnole hanno espressamente indicato” la sospensione del mandato d'arresto e segnalato che “nessuna giurisdizione dell'Unione poteva dare esecuzione”, si legge nell'ordinanza del Tribunale dell'Ue. Del resto, l'ordinanza prevede che, in caso di arresto, Puigdemont possa chiedere di nuovo “misure provvisorie” per restaurare l'immunità. E' quello che ha fatto oggi il suo avvocato Gonzalo Boye, spiegando di aspettarsi una decisione “in 24-72 ore”. Se sospenderà la revoca dell'immunità di Puigdemont, il Tribunale dell'Ue infliggerà due grossi schiaffi. Uno al Parlamento europeo, che ha preso la sua decisione più per ragioni politiche che giuridiche sotto la pressione di socialisti e popolari spagnoli. L'altro alla credibilità della democrazia della Spagna perché, nei fatti, il Tribunale supremo (riempito dal Partido Popular di suoi fedelissimi) si comporta come la Corte costituzionale polacca che non riconosce l'ordinamento giuridico dell'Ue.