Al voto tedesco
Elezioni in Germania, il viaggio verso il centro di Olaf Scholz
L'anticapitalismo dell'inizio, gli anni Novanta del "detox", il riformismo con Schröder e poi la Merkel. Il candidato della Spd ha passato gli ultimi anni a studiare: ecco i libri che ha letto e gli intellettuali che ha incontrato
Il viaggio politico di Olaf Scholz ricalca quello della socialdemocrazia tedesca e finisce con un punto al centro: è dove si trova oggi il candidato cancelliere della Spd che spera di vincere le elezioni del 26 settembre. Scholz, 63 anni, è nato a Osnabrück ma è cresciuto nella periferia di Amburgo: famiglia della working class (settore tessile), a 17 anni è entrato nella sezione giovanile della Spd, è tra i “ragazzi arrabbiati” della sinistra più radicale, contro il capitalismo, contro l’aggressività imperialista dell’America, contro la Germania dell’ovest “roccaforte dell’alta finanza europea”.
Poi arrivarono gli anni Novanta, la stagione che lo stesso Scholz ha definito di “detox”: diventa avvocato del lavoro, rappresenta spesso i sindacati e i lavoratori dell’est che devono adattarsi alla nuova vita riunificata e comincia a fare politica ad Amburgo, dove la Spd è la forza politica più forte e dove ha trovato il modo di far parlare la borghesia industriale e la classe lavoratrice grazie a Helmut Schmidt, che diventerà il suo mentore. Questo è il momento in cui Scholz s’incammina verso il centro, viene eletto parlamentare nel 1998, quando Gerhard Schröder diventa cancelliere e governa con i Verdi. A Berlino Scholz impara a muoversi dentro al partito con un metodo che ancora oggi è considerato virtuoso: non fa parte di nessuna corrente, riesce a parlare con tutte. Questa flessibilità accompagna Scholz nella sua carriera dentro la Spd, negli anni del riformismo e delle liberalizzazioni, gli anni d’oro delle vittorie e del potere, finiti con l’arrivo di Angela Merkel. E questa flessibilità c’è ancora.
Se oggi Scholz ambisce a vincere le elezioni dopo che cinque anni fa la Spd ha toccato un minimo storico di consensi è perché è riuscito a collocarsi al centro, ad accomodarsi in modo credibile, a superare il cannibalismo moderato della Merkel e anzi a farlo persino un po’ suo, a unire il partito, che con il centrismo ha molti problemi da tempo, attorno a sé, compresa l’ala giovanile che è rimasta molto radicale. Qualcuno si chiede se la flessibilità sia opportunismo, se lo Scholz della campagna elettorale sarà quello che eventualmente governerà il paese, se insomma bisogna fidarsi del fatto che la destinazione del suo viaggio fosse proprio questa: sono domande senza una risposta immediata, ma intanto la sinistra (con le sinistre europee) gongola, ché si annunciava un anno orribile e invece il ministro delle Finanze del governo Merkel (un ruolo che pareva una condanna) ha cambiato tutto, prospettive e speranze.
Chi conosce Scholz dice che negli ultimi anni il candidato inaspettatamente dei sogni ha studiato molto: con la Spd al 20 per cento dei consensi, l’occupazione merkeliana e l’assedio al cosiddetto “voto del popolo” dall’estrema sinistra e anche dall’estrema destra (un fenomeno non soltanto tedesco: è il segreto del populismo), Scholz ha cercato di capire quale fosse l’offerta politica adatta al tempo e a una socialdemocrazia moderna. Ha letto “Elegia americana”, il libro di J.D. Vance che spiegava nel 2016 il successo di Donald Trump, e “Ritorno a Reims” di Didier Eribon, un altro resoconto più datato (è del 2009) di una società frammentata, di periferie dimenticate, di sconfitte, di identità di classe mortificate. Scholz si è immerso anche negli studi dell’economista serbo-americano Branko Milanovic, dell’economista turco Dani Rodrik e soprattutto del filosofo americano Michael Sandel, che oggi è considerato un intellettuale di riferimento sia dai laburisti britannici sia dai democratici statunitensi. Sandel, il teorico della “tirannia del merito” che spiega “il lato oscuro della meritocrazia” è stato forse l’incontro più importante per Scholz: nel dicembre del 2020, i due parteciparono a una conversazione pubblica e spesso durante la campagna elettorale il leader della Spd ha citato il pensiero di Sandel. In quell’incontro, Scholz disse: “In alcune classi di professioni, c’è un’esuberanza meritocratica che ha portato le persone a pensare che il successo sia una cosa individuale, che uno conquista da sé. Così, quelli che partecipano o addirittura determinano il successo di qualcuno non hanno il rispetto che sarebbe loro dovuto. E questo deve cambiare”. Secondo Sandel, che ha rilasciato una bella intervista a George Eaton del New Statesman di questa settimana in cui parla anche di Scholz, buona parte del trumpismo, della Brexit, dello scivolamento dell’elettorato della classe lavoratrice verso partiti estremi o movimenti non tradizionali è causata proprio dalla forza oscura della meritocrazia, che sfilaccia i patti sociali e crea gruppi di persone arrabbiate che si sentono lasciate indietro.
Questi studi e questi incontri hanno scandito gli ultimi anni di Scholz in cui si è definito quello che oggi viene chiamato, con un’enfasi forse prematura, “scholzismo”: la costruzione di un ponte tra i progressisti della classe media, la vecchia classe lavoratrice e la moderna classe dei precari; una leadership decisionista e concreta; un dialogo interno al partito per compensare le divergenze tra correnti che a sinistra sono spesso fratture insanabili. Questo è quello che offre oggi la Spd di Olaf Scholz, che ha ammiccato al pragmatismo merkeliano arrivando a chiamarsi “cancelliera”, che ha utilizzato la sua trasformazione da capellone a sobrio signore rassicurante per raccontare il suo viaggio culturale e politico nella sinistra, che dichiara il suo amore per la moglie appena può e che non è uno che sottovaluta i pericoli. “Sono un liberale ma non sono stupido”, aveva detto all’inizio degli anni Duemila, quando per la prima volta aveva toccato il centro.