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Gli effetti del voto in Germania

Perché la disfatta dei conservatori tedeschi segna la fine dell'egemonia del Ppe

David Carretta

L'aura e l'autorevolezza di Merkel aveva permesso di nascondere il declino europeo del Partito popolare europeo, che resta la più grande famiglia politica dell'Ue. Ma ora la sua influenza sarà fortemente ridimensionata. Gli effetti sul Consiglio europeo e il rischio revanscismo

La disfatta dell'Unione Cdu-Csu nelle elezioni legislative in Germania pone fine al lungo periodo di egemonia del Partito popolare europeo sulla politica e sulle istituzioni dell'Ue. Il Ppe è ancora la più grande famiglia politica in Europa, è il primo gruppo al Parlamento europeo e occupa importanti cariche, a partire dalla presidenza della Commissione con Ursula von der Leyen. Per molti aspetti il Ppe è ancora l'unica vera famiglia politica europea, in grado di coordinare i diversi partiti nazionali e di spingerli a sostenersi reciprocamente dentro le istituzioni. Ma la sua capacità di influenzare l'Ue sarà fortemente ridimensionata dalla perdita della cancelleria, che Angela Merkel ha detenuto per sedici anni.

 

  

La Germania è l'ultimo grande paese ad avere un governo diretto dal Ppe. A parte l'Austria, è l'ultimo stato membro della vecchia Europa ad avere un capo di governo cristiano-democratico. L'aura e l'autorevolezza di Merkel aveva permesso di nascondere il declino europeo del Ppe. Ma il Partito socialista europeo farebbe meglio a evitare trionfalismi. Non ci sarà un cambio di regime europeo analogo a quello dell'era della “Europa rosa” che contraddistinse il cancellierato di Gerhard Schroeder al passaggio del nuovo millennio. L'Ue è diventato uno spazio politico molto più frammentato, a immagine dei suoi stati membri. E la cooperazione tra famiglie politiche – essenziale per realizzare l'agenda politica della Commissione – diventerà più difficile, se la nuova generazione di leader del Ppe sceglierà la via di una destra senza complessi.

 

“La Germania è il più grande paese” e una sconfitta della Cdu-Csu “indebolirebbe il Ppe”, aveva detto il cancelliere austriaco, Sebastian Kurz, in un'intervista a Bloomberg Tv prima delle elezioni in Germania. “Nel nord e nell'ovest dell'Europa, il Ppe non è più forte come una volta”, aveva spiegato Kurz. Nel biennio 2010-11, prima delle crisi del debito sovrano e migranti, i popolari avevano una maggioranza schiacciante dentro il Consiglio europeo, l'istituzione dove siedono i capi di stato e di governo che fa le scelte strategiche per l'Ue. Oltre alla Germania, il Ppe guidava i governi di Francia, Italia, Polonia, Irlanda, Belgio, Svezia,  Lussemburgo, Repubblica ceca, Ungheria, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania e Lettonia. Nella mappa dell'Ue di un decennio fa, le macchie rosse del Pse si limitavano a Spagna, Portogallo, Grecia, Austria e Slovenia. Quelle gialle dei liberali erano concentrate a nord: Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia e Estonia. La mappa dell'Ue di oggi è molto più variegata e frammentata. I rapporti di forza tra famiglie politiche si sono equilibrati.

 

 

Il Ppe guida i governi di Austria, Slovenia, Croazia, Grecia, Romania, Lettonia e Lituania. I socialisti hanno premier in Spagna, Portogallo, Finlandia, Danimarca e Svezia. Se la Cdu-Csu perderà la cancelleria, i liberali saranno alla pari con il Ppe per numero di leader dentro il Consiglio europeo, dato che sono alla testa del governo in Francia, Irlanda, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Repubblica ceca e Estonia. Due stati membri - Polonia e Ungheria - sono guidati da leader della destra nazionalista e populista. In Italia il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è un tecnico alla testa di un governo che riunisce sinistra, centro e destra. In Bulgaria non si riesce a trovare una maggioranza per nominare il nuovo primo ministro e ci saranno le terze elezioni in meno di un anno a novembre.

 

La partenza di Merkel e la disfatta della Cdu-Csu ha anche implicazioni sulla direzione futura del Ppe. Merkel è l'ultima della generazione di leader cristiano-democratici post Helmut Kohl, che avevano mantenuto un approccio moderato e saldamente pro-europeo. Quando parlava Merkel, il Ppe si allineava dietro di lei. Ma negli ultimi anni diversi leader si sono messi a scalpitare per spostare il Ppe a destra: l'austriaco Kurz, il croato Andrej Plenković, lo sloveno Janez Janša. Oltre ai capi di stato e di governo ci sono i “giovani”, che occupano incarichi di seconda fila o all'opposizione, come il governatore della Baviera, Markus Söder, o il leader del Partido popular spagnolo, Pablo Casado. Molti di loro hanno contatti regolari con Viktor Orban, che se n'è andato dal Ppe perché rischiava l'espulsione per la deriva dell'Ungheria sullo stato di diritto. Janša sembra voler imitare il premier ungherese.

 

Casado non ha esitato a fare accordi con Vox a livello regionale. Manfred Weber, il capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, recentemente ha annunciato di voler diventare anche presidente del Ppe, prendendo il posto del polacco Donald Tusk. E' sui “giovani” che Weber vuole puntare per ristrutturare la famiglia dei popolari sulla base di una piattaforma politica più conservatrice e a destra di quella attuale. Con la Cdu-Csu all'opposizione a Berlino, il gruppo del Ppe al Parlamento europeo si sentirà più libero di contrastare e sabotare le proposte più controverse della Commissione von der Leyen, come il pacchetto “Fit for 55” del Green deal. La collaborazione con i socialisti e i liberali al Parlamento europeo su altri dossier ne risentirà. Per l'Ue, la fine del Ppe merkeliano e l'arrivo di un Ppe revanscista non sono per forza una buona notizia.

 

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