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Per difendersi dalle accuse del Wsj, Facebook svilisce le prove
Il 30 settembre il Senato americano ascolterà i rappresentanti dell'azienda di Menlo Park sui risvolti dell'inchiesta del Wall street journal. Il colosso big tech dice che i dati riportati "sono parziali", ma non pubblica i documenti
Ci sono volute due settimane, ma alla fine il gigante ha reagito. Con un post sulla sua newsroom, Facebook ha respinto le gravi accuse mosse dall’inchiesta del Wall Street Journal, che con la sua “The Facebook Files” aveva acceso i riflettori sul rapporto che i minori hanno con i social network. “I dati riportati sono parziali”, dice Pratiti Raychoudhury, vicepresidente e head of research, “la ricerca mostra che abbiamo aiutato molti ragazzi a stare meglio”. Ma, intanto, il progetto di creare un Instagram per bambini viene sospeso.
Quali le colpe della big tech? Secondo la testata americana, Instagram fa male alla salute mentale dei giovanissimi, e dalla stanza dei bottoni lo sapevano benissimo (ma evitavano di dirlo in pubblico). La prova? Uno studio interno all’azienda, datato 2019, da cui - si legge sulle pagine del WSJ - emergerebbe che “una ragazza su tre, a causa delle immagini su Instagram, ha problemi con il suo aspetto fisico” e che “gli adolescenti accusano Instagram di avergli causato ansia e depressione”. E ancora: “Il 13 per cento degli adolescenti britannici e il 4 per cento di quelli americani che hanno tentato il suicidio hanno attribuito la responsabilità del loro gesto a Instagram”. Ciononostante, proseguono, "l’azienda ha intenzione di sfruttare i meccanismi del social network per intercettare sempre più utenti sotto i 22 anni", proprio quella fascia di età che vede Facebook come una piattaforma obsoleta e datata. C’è di più: secondo la testata americana, la presentazione sarebbe stata vista dai dirigenti di Facebook e citata in alcuni documenti poi esposti al ceo, Mark Zuckerberg.
Inizialmente, il colosso di Menlo Park ha provato a limitare i danni. Incalzato sull’inchiesta durante un’audizione al Senato relativa a un altro tema, un rappresentante di Facebook ha dichiarato che l’azienda non ha intenzione di rivalersi contro l'informatore che ha consegnato i documenti al WSJ. Pare, però, che il giornale non sia il solo ad avere questo materiale: alcuni di questi file sarebbero stati consegnati anche alla Securities and Exchange Commission e al Congresso da una persona che avrebbe richiesto la protezione federale. A questo punto, il parlamento americano ha alzato l’attenzione sul tema: il 30 settembre, la commissione commercio del Senato ascolterà in audizione Antigone Davis, global head of safety dell’azienda, sul rapporto tra i minori e il social network.
E dire che, da qualche mese, Facebook stava lavorando a una piattaforma proprio destinata ai più piccoli, Instagram Kids. Il 27 settembre, dopo settimane di critiche da parte di associazioni di genitori ed esperti, il progetto è stato sospeso. L’inchiesta del WSJ potrebbe aver giocato un ruolo chiave nella decisione, congettura avvalorata dalla scelta dell’azienda di virare su meccanismi di controllo genitoriale verso gli adolescenti. Adam Mosseri, capo di Instagram, ha dichiarato: “Abbiamo deciso di metterlo in pausa per concentrarci sul lavoro insieme a genitori, esperti e istituzioni per assicurarci di ascoltare le loro preoccupazioni”.
Nel frattempo, Facebook ha rilasciato la slide citata dal WSJ e ha risposto al fuoco. Secondo Menlo Park, sarebbero stati tralasciati tutti gli effetti positivi di Instagram sui giovani, visibili nel materiale (parziale) reso pubblico dall’azienda. Si parla di disturbi come i disordini alimentari, la solitudine, l’ansia. Inoltre, se si allarga la forbice a tutti gli adolescenti e non solo ai giovanissimi, il problema relativo alla percezione del proprio fisico diventa trascurabile, sostiene Facebook. Non solo: esaminando tutti i 12 item del questionario (escluso quello relativo alla body image), la risposta “mi ha fatto stare meglio” supera sempre “mi ha fatto stare peggio”. Infine, Facebook sottolinea la non rappresentatività del campione preso in esame dal WSJ, pari a solo 40 giovanissimi per gran parte della sua ricerca. Quale, dunque, lo scopo? “Fare conversazione interna sull’impatto negativo di Instagram sui ragazzi. (Lo studio) non era correlato al loro rapporto con problemi reali”, afferma Raychoudhury, sostenendo inoltre che la ricerca aveva natura informale persino nel linguaggio.
La pretattica del colosso big tech, prima della grande battaglia del 30 settembre, ha dunque due direttrici: sgonfiare il lavoro giornalistico del Wsj e svilire la ricerca effettuata da Facebook stessa, una sorta di auto-sabotaggio che, di rimando, renderebbe inoffensiva la pietra dello scandalo. Ai senatori americani il compito di fare chiarezza.