In America
La lealtà secondo Joe Biden
I democratici si dividono sul piano di spese trilionario del presidente. Due senatori democratici denunciano la "follia fiscale" di questa Amministrazione, ma molti ribattono: folli siete voi a sfasciare il partito. Biden però ha scelto una tattica che si basa sulla sua età e sulla sua esperienza
Il presidente Joe Biden “non implorerà nessuno”, ha detto al sito Axios una fonte vicina alla Casa Bianca: “Per lui le cose stanno così: siete democratici, o state dalla parte del vostro presidente o non ci state”. Biden è di una generazione in cui la lealtà al partito è considerata automatica e ha 36 anni di esperienza al Senato: questo gli basta per dire che la crisi del suo partito di fronte al voto più importante dell’agenda economico-sociale degli Stati Uniti finirà presto e finirà per il meglio. Ma è l’unico a essere tanto fiducioso: attorno a lui, i leader e i deputati del Partito democratico sono preoccupati e sospettosi.
In queste ore il Congresso ha dovuto evitare lo shutdown, quindi trovare un compromesso tra democratici e repubblicani per mantenere finanziato il sistema pubblico (e anche per stanziare i fondi per i rifugiati afghani e per le catastrofi naturali) ma è il piano di investimenti e di riforma strutturale degli Stati Uniti che rischia di finire masticato dalle liti interne al Partito democratico. I retroscenisti raccolgono soltanto disprezzo e sfiducia tra i principali interlocutori: la faida più chiacchierata è quella tra Nancy Pelosi, speaker della Camera, e Chuck Schumer, capo della maggioranza democratica al Senato, che non sono d’accordo sulla tattica da seguire e si contendono l’attenzione di Biden. Ma se fosse una faida solo personale non sarebbe grave, ma è ideologica e ha due parole chiave: “Manchema” e “follia”.
“Manchema” è il neologismo-crasi che indica i due senatori che si ribellano al piano di 3.500 miliardi di dollari proposto da Biden per riscrivere il patto sociale ed economico dell’America: sono Joe Manchin della West Virginia e Kyrsten Sinema dell’Arizona. Nel barometro dell’astio del Partito democratico nei loro confronti (astio che viene sia dai più radicali sia dagli stessi moderati), in questo momento la Sinema è la più detestata e continuano a uscire articoli su di lei che mostrano i suoi brutti rapporti con i democratici del suo stato e i suoi ottimi rapporti con il fundraising senza preconcetti. In più Manchin ha fatto una proposta concreta, che è sempre meglio delle battaglie puramente ideologiche, anche se è con tutta probabilità irricevibile. Il senatore ha incontrato Biden all’inizio della settimana, ma non ci sono stati passi avanti tangibili. Poi due giorni fa Manchin ha detto che il piano da 3.500 miliardi di dollari (ora si sta discutendo della parte dedicata alle infrastrutture, al clima e agli sgravi alle famiglie) è “follia fiscale”. Molti democratici hanno replicato: follia è che due senatori tengano in ostaggio il partito e il paese cui appartengono. Mentre iniziava la discussione al Congresso del pacchetto “Build Back America”, Manchin ha fatto la sua proposta: tagliare la “follia” di duemila miliardi di dollari (la spesa sarebbe quindi di 1.500 miliardi di dollari) e di prendersi qualche ora in più per rifletterci. Quando è uscito davanti al Congresso per parlare con i giornalisti e spiegare la sua posizione, Manchin è stato accolto dai canti di (pochi) manifestanti: ehi Joe, cantavano, avevamo un accordo! Il problema è che questa proposta circola già da luglio e che era già stata approvata e firmata da Schumer, che da allora ha cercato di “cambiare Joe” in qualche modo, senza riuscirci.
I più radicali sostengono che i moderati vogliono distruggere un progetto decennale rivoluzionario e come al solito: noi siamo per la gente, loro, i cosiddetti moderati, sono per il business. Biden che è un tattico d’esperienza scommette: li lascio fare, negoziare, proporre, poi farò valere il principio di lealtà.