Non solo "The Facebook Files"
Questa volta per Mark Zuckerberg è "la crisi"
"Facebook è una potenza straniera ostile e come tale va trattata". La sollevazione contro la piattaforma in America coinvolge tutti, dai politici ai media. E l'impero tech va in blocco per cinque ore
L’Atlantic, il mensile che pubblica analisi ragionate ed eleganti, ha appena definito Facebook così: è una potenza straniera ostile e come tale va trattata. È il segnale di una sollevazione generale. L’azienda tech (ieri non funzionante per tantissimi utenti) ha superato molte crisi nel corso della sua esistenza ma questa è diversa dalle altre. È più profonda, è più duratura e porta i segni di una svolta che potrebbe infliggere danni definitivi. I giornali americani parlano di riunioni d’emergenza dei vertici dell’azienda, incluso il fondatore Mark Zuckerberg, cominciati dieci giorni fa per tentare di arginare gli effetti dei Facebook Files – una serie di documenti interni dell’azienda trafugati da una dipendente e consegnati al quotidiano Wall Street Journal. Zuckerberg e l’altra persona più conosciuta di Facebook, la direttrice operativa Sheryl Sandberg, per ora hanno deciso di non rispondere in pubblico per evitare di diventare il volto della crisi. Lasciano che a occuparsi della difesa sia un settore specifico dell’azienda chiamato “strategic response”, risposta strategica. La loro assenza non rende meno grave la portata dell’attacco in corso.
Prima di tutto c’è la qualità delle accuse, che riguardano rischi per bambini e adolescenti. Quando la piattaforma è stata incolpata di avere facilitato stragi etniche nel Myanmar perché non sorvegliava cosa succedeva sulle pagine di quel paese oppure di essere vulnerabile alla propaganda russa a favore di Donald Trump nel 2016 le reazioni erano state più blande, al limite dell’irrilevante. Non erano dossier capaci di eccitare il pubblico. Adesso invece le accuse sono più generiche e a fil di ipotesi, ma hanno un impatto maggiore. I dati scoperti dai ricercatori dell’azienda che dimostrano che Instagram, controllata da Facebook, crea malessere psicologico in una percentuale rilevante di adolescenti femmine – e che non erano destinati al pubblico – stanno diventando un problema così importante che l’azienda ha sospeso molti progetti interni per concentrarsi sulla difesa.
L’altro grande motivo per il quale sentiamo e sentiremo parlare molto di Facebook e che questa volta c’è un allineamento potente contro Zuckerberg. Negli Stati Uniti – quindi nel luogo che conta, perché l’azienda subisce prima di tutto le decisioni politiche e le sentenze americane – democratici e repubblicani sono d’accordo in modo trasversale sulla necessità di colpire Facebook. I democratici rimproverano all’azienda di avere estremizzato gli avversari politici e di avere facilitato – è una sintesi brutale ma non lontana dal vero – la trasformazione del Partito repubblicano nel partito di QAnon, la setta di maniaci che vede complotti in ogni notizia. Inoltre i democratici contestano a Facebook la sua natura di gigante tecnologico monopolista, che dev’essere smembrato e ridotto in pezzi più piccoli per essere riportato sotto controllo. Almeno due candidati presidenziali democratici, Elizabeth Warren e Amy Klobuchar, dicevano queste cose in campagna elettorale e questo pezzo del loro programma è rimasto nell’agenda del partito. I repubblicani rimproverano a Facebook l’opposto: l’azienda ha censurato il presidente Trump, blocca la propaganda dei repubblicani ma non quella dei democratici, è uno strumento ideologico che ha capitolato alle richieste degli avversari politici e del politicamente corretto. Il giovane senatore repubblicano del Missouri, Josh Hawley, che durante i giorni dell’insurrezione a gennaio si era schierato con la folla trumpiana, è uno dei principali nemici di Facebook da almeno tre anni e ha creato una serie di dossier contro l’azienda che sono ben argomentati e ben documentati. E poi c’è il terzo lato del triangolo: giornali e media, che picchiano duro.
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