Il multiforme Babis e le Pandora elections

Micol Flammini

Dopo quattro anni, in tanti ancora si domandano: cosa pensa davvero il premier miliardario della Repubblica ceca? Adesso tenta la rielezione. Le possibilità sono buone, difficile sarà trovare degli alleati con cui governare

Si chiudono oggi le urne in Repubblica ceca e ancora una volta, quattro anni dopo, la personalità più chiacchierata è quella del premier uscente Andrej Babis. Il miliardario a capo del movimento  Ano (Azione dei cittadini insoddisfatti) è ancora il favorito, nonostante i partiti d’opposizione questa settimana abbiano avuto un argomento forte contro di lui: la pubblicazione dell’inchiesta sui Pandora papers. Tra i nomi incriminati compare anche quello del primo ministro che di scandali ne ha già molti. Finora i suoi cittadini non se ne sono curati molto e la sfida dell’opposizione è fare in modo che se ne curino questa volta. Secondo Jiri Pehe, scrittore e politologo ceco, il premier ha un suo elettorato solido, costituito soprattutto da anziani, poco portato a pensare  ai problemi giudiziari del premier e molto riconoscente per la sua decisione di alzare le pensioni.

    

Ma Andrej Babis continua a essere un mistero per molti. È multiforme. C’è chi lo definisce un populista. Chi un aspirante autocrate. Chi un europeista opportunista. Chi un affarista disperato. Chi un Orbán che ancora non ce l’ha fatta. Ma il paragone non è appropriato: “Orbán è un ideologo che da anni lavora alla trasformazione del suo stato e  che non crede nella democrazia. Babis è un miliardario impegnato nell’editoria che confonde la politica con i suoi affari. Sarebbe più corretto compararlo a Silvio Berlusconi”, dice Pehe al Foglio. Secondo lo scrittore  non c’è un rischio per la democrazia a Praga.: “Il nostro sistema istituzionale rende molto complesso lo smantellamento della democrazia: nessun partito può avere la maggioranza assoluta”. Gli scenari ungherese e polacco, dice Pehe, non sono applicabili.

   

A Bruxelles il partito di Babis siede tra i liberali di Renew ed esprime uno dei commissari più forti e importanti: Vera Jourová, vicepresidente della Commissione per i valori e la trasparenza, sempre molto dura contro chi non rispetta lo stato di diritto e la democrazia. “Il movimento di Babis ha lanciato la Jourová, ma lei ormai ha trovato il suo posto in politica. Non ha bisogno di seguire il suo leader, come fanno gli altri membri di un partito che senza Babis non esisterebbe, gioca una partita a sé e ha ambizioni politiche. Non sarei sorpreso se il prossimo anno si candidasse alle elezioni per la presidenza”. Babis non è euroscettico e l’euroscetticismo è sfumato anche dalla campagna elettorale di altri partiti. Questo è un elemento di novità rispetto al voto di quattro anni fa. L’opinione dei cittadini cechi nei confronti dell’Ue è migliorata negli ultimi tempi, dice Pehe, “è cresciuta del 15 per cento. All’aumento hanno contribuito sia il Next Generation Eu sia la grande mobilitazione dell’Europa per dare  una risposta comune alla pandemia. Anche nei dibattiti in tv i candidati non hanno messo in dubbio l’appartenenza all’Ue, c’è stata qualche critica che ha riguardato soprattutto il Green deal”.  Babis  non si è mai unito alle battaglie  di Orbán contro l’Ue. 

  

È arrivato in politica promettendo di governare il paese come un’azienda. Sempre in compagnia di modelle, con un figlio che ha cercato in ogni modo di distruggere la sua credibilità, piace molto al presidente della nazione, Milos Zeman. I due non hanno le stesse idee politiche – per citarne una: Babis è atlantista, Zeman è filorusso – ma hanno trovato il modo di convivere e sfruttarsi a vicenda. Il problema questa volta per Babis sarà trovare degli alleati con cui governare, Zeman ha già promesso che darà a lui il mandato, ma la  reputazione del premier è molto compromessa e di partiti disposti ad allearsi non se ne trovano.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)