Condizioni per i talebani
Draghi guida gli aiuti dei responsabili per l'Afghanistan
Un pacchetto di aiuti da Ue e Biden, ma non è beneficenza: il tracollo è un rischio per tutti
L’edizione speciale del G20 di ieri dedicata all’Afghanistan e presieduta da Mario Draghi ruotava attorno a un concetto base: i talebani hanno vinto la guerra civile e si sono impadroniti del paese, ma senza aiuti solidi dall’esterno il paese si disintegrerà presto nelle loro mani. Non è un’iperbole, tutti gli indicatori dicono che l’economia afghana va verso il tracollo e sarà più veloce del tracollo militare del governo di Ashraf Ghani di due mesi fa. Poi c’è un fattore politico: la comunità internazionale è d’accordo sugli aiuti all’Afghanistan, ma in cambio vuole dai talebani garanzie nel campo dei diritti umani e delle donne, un governo inclusivo (nel senso di un governo che non sia un monocolore pashtun e tenga conto che nel paese ci sono diverse etnie), rassicurazioni contro il terrorismo e la riapertura di corridoi umanitari veloci.
C’è quindi accordo di massima sugli aiuti, a patto che siano aiuti condizionati – del resto nel governo dei talebani ci sono elementi ricercati dagli Stati Uniti per terrorismo, era difficile pensare che i fondi afghani sarebbero stati trattati come soldi qualsiasi. Infine c’è il fattore tempo: arriva l’inverno a peggiorare tutto con temperature che scenderanno sotto lo zero. Sarebbe stato meglio ritirarsi dall’Afghanistan d’inverno, quando i talebani sono rallentati dalle condizioni meteo ostili, e organizzare gli aiuti d’estate, quando c’è meno urgenza, ma ormai è tardi. Forse la prossima volta.
G20 Afghanistan, a negoziare con i talebani sarà l'Onu
L’Unione europea, annuncia il presidente della Commissione Ursula von der Leyen, stanzia un pacchetto di aiuti da un miliardo di euro – con l’Italia fra i donatori maggiori. L’Amministrazione Biden promette trecento milioni di dollari. Dovrebbero servire come prima tranche per tappare le falle più grosse. A negoziare con i talebani saranno le Nazioni Unite, in tempi che si sperano rapidi. Il sistema ospedaliero dell’Afghanistan andava avanti grazie a un fondo da seicento milioni di dollari della Banca mondiale che copre le spese base e però adesso è sospeso: senza quel denaro gli ospedali chiuderanno presto.
Dopo la capitolazione di Kabul a metà agosto l’Amministrazione Biden ha bloccato l’accesso dei talebani a riserve per nove miliardi di dollari e adesso le banche afghane stanno per smettere di funzionare perché manca il denaro. C’è in vigore da mesi un tetto massimo ai prelievi di duecento dollari a settimana, ma anche così le scorte di denaro locali sono destinate a finire presto. Tre quarti del budget statale si basava su denaro che arrivava dall’esterno e però adesso non c’è più e chi lavora per lo stato, dai poliziotti ai postini ai professori, non riceve la paga da tre mesi. Secondo il World Food Program, diciotto milioni di afghani su quaranta soffrono la fame. In teoria i fornitori di energia straniera che esportano energia elettrica in Afghanistan potrebbero tagliare le forniture già adesso, perché i talebani non pagano, ma hanno deciso di continuare a erogare energia elettrica ancora un po’ per non aggravare la crisi.
E poi c’è il tema dei corridoi umanitari. Al momento l’evacuazione degli afghani in pericolo procede molto lenta, un volo da trecento passeggeri una volta alla settimana. L’idea è accelerare il ritmo, ci sono migliaia di persone ancora in lista di attesa. Ma si creerà il problema di come sistemare tutti i profughi. Non è beneficenza. Un peggioramento ulteriore delle condizioni in Afghanistan vuol dire più instabilità, più caos e più occasioni per i terroristi. “Non c’è alcuna incertezza sul fatto che siamo anche noi responsabili”, ha detto ieri Draghi.