Le debolezze di Kurz e Babiš, uomini forti dell'Europa centrale
I due uomini forti di Austria e Repubblica ceca hanno subito una battuta d'arresto. Ma entrambi sembrano determinati a manovrare per restare al potere, anche a costo di mettere in discussione il funzionamento delle istituzioni e la credibilità europea del loro paese
Bruxelles. La regola secondo cui “l’uomo forte” nell’Europa centrale e orientale è garanzia di stabilità ha subìto un duro colpo nel fine settimana con le dimissioni del cancelliere Sebastian Kurz in Austria e la sconfitta del premier Andrej Babiš nelle elezioni legislative in Repubblica ceca. Kurz ha lasciato il suo posto a Alexander Schallenberg, un alto funzionario del ministro degli Esteri che ha guidato la diplomazia austriaca con il precedente governo. Scegliendosi un fedelissimo come suo successore, Kurz potrà continuare a controllare il governo e lanciarsi in una lunga campagna elettorale per riprendere il potere. Babiš ha riconosciuto la sconfitta nelle urne, ma spera che gli sia comunque affidato il mandato di formare il prossimo governo sulla base del fatto che il suo partito, Ano, ha ottenuto il numero più alto di seggi, malgrado il secondo posto dietro a una coalizione di centrodestra. Il destino del prossimo governo a Praga dipende dallo stato di salute di un altro uomo forte della Repubblica ceca, il presidente Miloš Zeman, che domenica è stato portato d’urgenza in ospedale dove è ricoverato in terapia intensiva.
Kurz e Babiš sono molto diversi tra loro sia politicamente, sia caratterialmente. Ma entrambi sembrano determinati a manovrare per restare al potere, anche a costo di mettere in discussione il funzionamento delle istituzioni e la credibilità europea del loro paese. L’uomo forte di Vienna – Kurz – rende più fragile l’Austria. I due uomini forti di Praga – Babiš e Zeman – rischiano di danneggiare la Repubblica ceca.
Più che una caduta, le dimissioni di Kurz sono un tentativo di salvarsi e rilanciarsi. L’uscita dalla cancelleria lo ha salvato da “una sconfitta in parlamento”, spiega Florian Bieber, professore al Centre of Southeast European Studies dell’Università di Graz. La nomina di Schallenberg come successore ha calmato la ribellione dei Verdi, che sono in coalizione con il Partito popolare austriaco (Övp). Kurz resterà leader del partito e assumerà il ruolo di capogruppo in Parlamento, dove probabilmente moltiplicherà i conflitti con i Verdi. Secondo Bieber, Kurz si è dimesso “per sopravvivere politicamente”. Non appena lo riterrà conveniente, potrebbe decidere di far cadere il governo Schallenberg e giocare la carta delle elezioni anticipate. Dati i toni degli ultimi giorni e la popolarità di cui continua a godere nel paese, è probabile che Kurz imposti la prossima campagna come un referendum tra lui e la magistratura. Nella sua prima conferenza stampa dopo la nomina, ieri Schallenberg ha promesso di lavorare in stretto contatto con Kurz e ha detto che le accuse contro il suo predecessore sono “false” e “infondate”. Lo stato di diritto in Austria non ne uscirà rafforzato. E nemmeno la statura dell’Övp, se Kurz dovesse finire a processo per aver finanziato la stampa amica con fondi pubblici, come sospettano i giudici.
In Repubblica ceca l’opposizione ha rivendicato il diritto di formare un governo, dopo che due coalizioni anti Babiš – quella di centrodestra Spolu (“Insieme”) e quella centrista tra i Pirati e il movimento dei Sindaci indipendenti – hanno ottenuto 108 seggi su 200 in Parlamento. A Praga sono tutti con il fiato sospeso sulle condizioni di salute di Zeman che potrebbero avere implicazioni sui tempi della nomina del nuovo primo ministro. Le due coalizioni anti Babiš hanno firmato un memorandum per chiedere un mandato al candidato di Spolu, il moderato proeuropeo Petr Fiala. Ma, al di là del suo stato di salute, Zeman ha ampio margine di discrezionalità, compreso un reincarico a Babiš. In quel caso l’attuale premier si troverebbe di fronte alla possibilità di prolungare i negoziati per mesi, nella speranza di recuperare un numero sufficiente di deputati e cercare un’alleanza con l’estrema destra. Dal suo arrivo al potere Babiš si è dimostrato un leader molto diverso da Viktor Orbán. L’etichetta di populista gli è stata attribuita per la sua enorme ricchezza da imprenditore, i conflitti di interesse e – in ultimo – lo scandalo dei “Pandora papers”. Sull’immigrazione le sue posizioni sono quelle di tutti i paesi dell’est, ma per gran parte del suo mandato Babiš è rimasto proeuropeo e ha scelto di non sostenere Ungheria e Polonia nella loro battaglia contro lo stato di diritto. Una manovra di palazzo per restare al potere a Praga lo farebbe cadere nel campo degli illiberali.