in libano
Hezbollah tenta raid contro un giudice a Beirut, finisce in guerriglia
Il partito di Dio vuole bloccare l'inchiesta sull'esplosione del porto che sta arrivando troppo vicino alla conclusione. Nello scontro a fuoco sono morte sei persone
Giovedì a Beirut, capitale del Libano, una spedizione punitiva del gruppo Hezbollah che in teoria avrebbe dovuto devastare un quartiere cristiano per mandare un messaggio di intimidazione ai rivali politici è finita sotto il fuoco di uomini armati che difendevano le strade dai tetti degli edifici. Nello scontro a fuoco sono morte sei persone, i miliziani di Hezbollah hanno avuto la peggio e si sono ritirati, poche ore dopo molti veicoli con la bandiera gialla del partito e mitragliatrici montate sui cassoni sono stati visti entrare nella capitale libanese – erano i rinforzi che arrivavano in caso di altre violenze.
La spedizione di Hezbollah (in italiano: il partito di Dio) era un tentativo di fermare l’inchiesta di un giudice istruttore efficiente, Tarek Bitar, che da sei mesi indaga sull’esplosione che il 4 agosto 2020 ha devastato la capitale del Libano. Lunedì l’avvertimento era arrivato dallo stesso Hassan Nasrallah, capo del movimento, che durante un discorso di un’ora trasmesso in televisione aveva detto: “Vogliamo un giudice sincero e trasparente. Quello che sta succedendo è un grande, grande, grande, grande errore che non porterà alla verità e alla giustizia”. Nasrallah è nervoso, l’inchiesta sta arrivando troppo vicino a Hezbollah e del resto era difficile che fosse altrimenti: da molti anni il partito di Dio esercita un controllo forte su tutto quello che succede nel paese, fa parte con una quota importante di ogni governo ed è perlomeno corresponsabile nelle decisioni più importanti. E’ implicato nella storia delle migliaia di tonnellate di nitrato d’ammonio abbandonate in un hangar del porto che, a causa di un incendio, esplosero con effetti devastanti sui quartieri più vicini al mare. C’è il sospetto che quel nitrato d’ammonio arrivato a bordo di una nave in avaria fosse stato conservato nel caso servisse anche come esplosivo e quindi sarebbe stato un peccato gettarlo via.
Era inevitabile che Bitar cominciasse a guardare in direzione di Hezbollah ed era altrettanto inevitabile che la milizia avrebbe provato a rispondere con la forza. Martedì, il giorno dopo l’avvertimento di Nasrallah, il giudice aveva ordinato l’arresto di un ex ministro delle Finanze, Ali Hassan Khalil, che appartiene al movimento sciita Amal, alleato stretto di Hezbollah. Khalil per ora non è stato arrestato e ha chiesto a un tribunale di rimpiazzare il magistrato, ma lo spettacolo è sorprendente per i partiti e per i leader libanesi: c’è un giudice che ha preso davvero a cuore l’inchiesta e firma veri ordini di arresto, dopo che per un anno e mezzo l’inchiesta era rimasta nelle mani di un altro giudice senza fare progressi decisivi.
E arriviamo a giovedì, due giorni dopo il mandato d’arresto. Hezbollah ha tentato una protesta violenta in una strada del quartiere cristiano di Ain al Remmaneh, proprio davanti a Chiya, il quartiere del movimento Amal – quello del ministro che il giudice Bitar vuole arrestare. Tra i due quartieri passa una strada che un tempo segnava la cosiddetta Linea verde, che negli anni della guerra civile faceva da demarcazione tra la Beirut occidentale a maggioranza musulmana e la Beirut orientale a maggioranza cristiana. I miliziani hanno sfasciato quello che trovavano a tiro e hanno cantato slogan, fino a quando non è cominciato il fuoco dai tetti. Come spesso succede in Libano, le fazioni armate dei partiti hanno cominciato ad agire al posto della politica.