C'è una nuova corsa agli armamenti nel Pacifico
Provocazioni e reazioni. La Corea del nord testa missili, la Cina pure. E con la Russia mostra i muscoli davanti alle coste giapponesi
Un altro missile balistico, questa volta probabilmente lanciato da un sottomarino. Ieri la Corea del sud ha confermato che la Corea del nord ha eseguito un test missilistico da un’area attorno al porto di Sinpo, e che il razzo si è poi inabissato nel Mar cinese orientale: potrebbe essere la prima vera provocazione da quando Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca, e il primo missile balistico lanciato da un sottomarino sin dall’ottobre del 2019. Come nel gioco dell’oca, siamo tornati allo status quo precedente, al mondo prima degli incontri di Donald Trump con il leader Kim Jong Un e prima della politica di apertura del presidente sudcoreano Moon Jae-in. Pyongyang ha ripreso a promettere il dialogo “ad alcune condizioni”, ma periodicamente fa saltare i canali di comunicazione, accusa l’America di “attività ostili” e soprattutto mostra i muscoli e le sue capacità belliche.
L’Amministrazione Biden non ha ancora ben chiara quale sarà la sua strategia nei confronti della Corea del nord. La cosiddetta pazienza strategica, la strategia del suo predecessore democratico Barack Obama, aveva come obiettivo l’attesa del crollo del regime, da facilitare attraverso le sanzioni economiche. Non ha funzionato: Pyongyang sa benissimo come eludere le sanzioni, e riesce a finanziare il suo programma missilistico e nucleare grazie al business della vendita di armi e di droga. Mentre l’occidente aspettava, Kim Jong Un trasformava il suo paese in una potenza nucleare e missilistica, dando priorità agli armamenti e alla sussistenza del regime e quindi affamando la popolazione. Più di ogni altra cosa, la Corea del nord ha sempre potuto contare su un alleato strategico fondamentale, che negli ultimi anni ha acquistato ancora più potere sullo scenario internazionale: la Cina. Pechino sa parlare la lingua degli occidentali, quella del business, ma usa soprattutto la lingua di Pyongyang: quella degli armamenti e delle provocazioni militari. E lo fa in modo sempre più spregiudicato, dopo aver accelerato, negli ultimi anni, la trasformazione delle sue Forze armate.
Qualche giorno fa Demetri Sevastopulo ha pubblicato uno scoop sul Financial Times: in estate la Cina avrebbe “colto l’intelligence americana di sorpresa” lanciando un missile “ipersonico con capacità nucleari che ha volato attorno all’intero globo prima di colpire l’obiettivo”. Nessuno si aspettava che la Cina potesse avere un tipo di missile simile. Il ministero degli Esteri cinese ha fatto sapere che in realtà si trattava di un test per il lancio di un veicolo spaziale, quindi niente di minaccioso. Anche la Corea del nord ha accusato per anni la comunità internazionale di condannare i suoi test missilistici anche se facevano parte soltanto del suo pacifico programma spaziale. Ma la tecnologia dei missili balistici condivide moltissimo con quella dei razzi vettori e lanciatori. Ieri la Cina ha annunciato di aver testato con successo il razzo a combustibile solido più grande e tecnicamente più avanzato del mondo.
Se le provocazioni aeree da parte della Cina nello stretto di Taiwan sono in aumento, sull’acqua la situazione è altrettanto tesa. Tutti si aspettavano che l’acquisto da parte dell’Australia di sottomarini a propulsione nucleare americani avrebbe provocato qualche reazione da parte di Pechino.
E ieri il ministero della Difesa giapponese ha fatto sapere che dieci navi da guerra cinesi e russe hanno attraversato lo Stretto di Tsugaru, che separa l’isola di Hokkaido e quella di Honshu, in Giappone, e collega il Mar del Giappone all’oceano Pacifico. Sin dal periodo della Guerra Fredda, quando il Giappone doveva lasciar passare le navi americane che trasportavano armi nucleari, l’area centrale dello stretto è designata come acque internazionali. Quello di ieri è il primo “pattugliamento congiunto” di Cina e Russia, ed è soprattutto il primo ad avvicinarsi così tanto a uno degli alleati fondamentali dell’America e della Nato in Asia orientale. “Non consideriamo la Cina un nemico”, ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg al Financial Times l’altro ieri. “L’ascesa della Cina è stata importante per far uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone. E’ importante per le nostre economie. Dobbiamo dialogare con la Cina su questioni come il cambiamento climatico o il controllo degli armamenti”. Eppure, al di là della coercizione economica, dell’influenza politica sui paesi in via di sviluppo e la diplomazia dei “lupi guerrieri”, Pechino usa sempre più spesso proprio gli armamenti per esercitare la deterrenza. E una nuova corsa, nel Pacifico, è già iniziata.