Fanatico mangia fanatico. L'Afghanistan è terreno di lotta fra due gruppi del jihad
Un misterioso disertore passato allo Stato islamico, Shahab il Migrante, dirige a Kabul una campagna di stragi disegnata per mandare nel panico i talebani e far saltare i nervi alla Cina
Introduzione. L’ultima notte di agosto l’ultimo soldato americano si imbarca su un aereo militare da trasporto in partenza dall’aeroporto di Kabul. Da quel momento non ci sono più truppe internazionali in Afghanistan. Dopo vent’anni di guerra civile il paese passa sotto il controllo nominale dei talebani, che annunciano l’inizio di una nuova èra di tranquillità e sicurezza – anche se regolata da leggi crudeli opposte ai canoni occidentali. Questo in teoria. In pratica, un gruppo underground di altri fanatici che combatte in nome dello Stato islamico intuisce che i talebani sono ancora troppo deboli per controllare davvero il territorio e vuole approfittare di questa debolezza. In meno di due mesi l’Afghanistan diventa il terreno di lotta fra due gruppi del jihad: il governo talebano e le cellule dello Stato islamico.
Nel 2006 i marines americani di stanza a Ramadi, la città più pericolosa dell’Iraq, che affaccia sul fiume Eufrate e ha duecentomila abitanti, sapevano che ogni volta che uscivano dalle basi in pattuglia sui loro blindati scattava un invisibile conto alla rovescia. Trascorrevano in media circa quaranta minuti prima che fossero attaccati. Era il tempo necessario al nemico, che anche allora era lo Stato islamico (che cominciò a farsi chiamare “Stato islamico” per l’appunto a Ramadi nel 2006), per organizzarsi, raggrupparsi e attendere gli americani in un punto che desse agli attaccanti qualche vantaggio. I soldati americani sapevano che dietro ogni angolo ci poteva essere un’imboscata, che da ogni finestra poteva sparare un cecchino, che ogni tratto di strada poteva nascondere una bomba. Ecco, oggi per i talebani a Jalalabad, una città di trecentomila abitanti nel sud-est dell’Afghanistan, le giornate sono le stesse. Quando escono dalle loro basi, che sono quelle usate dall’esercito afghano e dai soldati americani fino a tre mesi fa, sanno che le possibilità di diventare il bersaglio di un attacco dello Stato islamico sono alte. A contare gli annunci pubblicati dallo Stato islamico – che sono confermati da notizie ufficiali e dai video che arrivano da lì – c’è stato almeno un attacco al giorno a partire dal 18 settembre. Mine, agguati e uccisioni per strada in stile camorra. I sicari arrivano, svuotano i caricatori di pistole e fucili contro un paio di talebani che si sono fatti sorprendere da soli e corrono via. Si fanno chiamare “i leoni della città”. Ogni mattina quando si alza un talebano nel sud-est dell’Afghanistan sa che lo Stato islamico lo considera un nemico allo stesso livello di un soldato americano in Iraq quindici anni fa e che sarà trattato di conseguenza.
I talebani nell’Afghanistan orientale fanno la vita dei marines in Iraq, tensione permanente e stesso nemico
Lo Stato islamico in Afghanistan è una trama rarefatta di cellule che oggi sono sparse per il paese dopo sei anni di guerriglia con alti e bassi. A tratti i fanatici sono riusciti a conquistare pezzi interi di territorio qui e là, come un paio di valli al confine con il Pakistan e una piccola enclave nel nord, poi hanno dovuto rinunciare perché sono stati sconfitti dai talebani e dalle forze del governo – che però adesso si sono dissolte e non ci sono più. Dopo la partenza definitiva dei soldati americani da Kabul nell’ultima notte di agosto, lo Stato islamico si è preso una pausa di quasi tre settimane. E’ stato uno spettacolo impressionante per chi segue la cronologia afghana. Un gruppo di terroristi sparpagliato in una moltitudine di nascondigli afghani che cessa di colpo le attività. E’ il segno che c’è un comando unificato che coordina bene le azioni e ha una facilità di comunicazione eccellente. Poi il 18 settembre lo Stato islamico ha cominciato a colpire con una frequenza e un’intensità che è senza precedenti, almeno in Afghanistan. Dal sud-est, che è la zona che infesta di più, si è allargato a colpire prima nella capitale Kabul e nella regione di Parwan, che è la fascia appena a nord della capitale, poi nel nord remoto di Kunduz, e infine persino nel sud profondo a Kandahar, che da sempre è la casa dei talebani. Lo Stato islamico non aveva mai rivendicato un attentato a Kandahar, ma venerdì scorso ha ucciso più di sessanta persone in moschea a mezzogiorno. I talebani sono impietriti. La pausa di settembre serviva ai terroristi per raccogliere informazioni, prendere le misure del nuovo Afghanistan e mettersi in posizione.
I talebani non hanno abbastanza uomini per controllare l’Afghanistan allo stato attuale delle cose. Le stime ci dicono che il loro numero è compreso tra 50 mila e 70 mila (tocca usare una forchetta perché il numero cambia a seconda delle fonti). Numero di carabinieri in Italia, tanto per disporre di un ordine di grandezza da comparare a mente: 109 mila. I talebani sanno come vincere una guerriglia di villaggio in villaggio su un arco temporale di vent’anni e con basi sicure all’estero, in Pakistan. Ora tocca loro gestire la sicurezza di uno stato centroasiatico che per estensione è due volte l’Italia.
Una scuola di pensiero sostiene che i talebani siano avvantaggiati rispetto al governo precedente nella lotta allo Stato islamico perché hanno molte più informazioni sui rivali e conoscono molto meglio il, come definirlo?, paesaggio umano. Giocavano allo stesso gioco fino a due mesi fa e quindi oggi i servizi di sicurezza talebani sarebbero meglio attrezzati per dare la caccia ai loro simili. It takes one to know one. Nelle immortali parole di Luciano Moggi, ex dirigente sportivo, quando lo accusavano di avere frequentazioni losche: “Il palafreniere del re deve conoscere tutti i ladri di cavalli”. Una seconda scuola di pensiero sostiene che i talebani siano tragicamente poco equipaggiati per contenere lo Stato islamico. Non hanno le competenze, la tecnologia e le strutture per battere i terroristi.
Prendiamo i cosiddetti “night raid”, un tipo di operazione molto controverso al quale i soldati americani fecero ricorso con frequenza altissima durante la guerra in Afghanistan. Si trattava di blitz a sorpresa eseguiti di notte e con gli elicotteri per andare a catturare leader nemici nelle zone impervie del paese e sfruttare il vantaggio della visione notturna. Il più famoso fu quello contro Osama bin Laden nel 2011, ma all’apice della guerra gli alleati in Afghanistan facevano seicento raid notturni al mese. Erano molto controversi perché capitava che i reparti speciali che se ne occupavano uccidessero civili nelle fasi concitate dell’irruzione. Divennero il motivo di una crisi tra soldati americani e governo afghano, perché in un raid fu ammazzato anche un cugino dell’allora presidente Hamid Karzai. Il Pentagono però li considerava necessari nel quadro più ampio della guerra. Disarticolavano le catene di comando dei talebani, impedivano la creazione di zone sicure, tenevano i nemici sulla difensiva. Oggi i talebani non fanno raid notturni con gli elicotteri contro i terroristi perché non saprebbero come farli. Fanno raid a terra, ma sono un’altra cosa, i tempi sono diversi, per i bersagli sottrarsi è più facile, in certe zone non ti puoi muovere senza dare ai nemici ore di preavviso. Certo, oggi gli uomini dello Stato islamico sono pochi rispetto ai talebani, ma le capacità dei talebani in quel campo sono al livello zero. Se le forze speciali americane non sono riuscite a sradicare abbastanza guerriglieri e alla fine hanno perso allora viene da sospettare che i talebani non se la caveranno meglio ora che ne hanno preso il posto.
Prendiamo i voli dei RC-135 Rivet Joint americani sull’Afghanistan. Si trattava di aerei spia con equipaggi di quattro persone che passavano sopra le aree considerate interessanti e raccoglievano e localizzavano le comunicazioni elettroniche, incluse le conversazioni fra telefonini. Alcune di queste conversazioni erano ascoltate in tempo reale da traduttori, che in caso di informazioni significative passavano testo e posizione degli intercettati ai comandanti americani. Questa tecnologia è stata sufficiente a battere i talebani? No. Sarebbe utile contro lo Stato islamico oggi? Sì, ma non c’è più. Si potrebbe andare avanti a fare altri esempi per molte pagine.
I talebani sono pochi, non hanno aerei spia, non fanno raid notturni con elicotteri. Arrestano sospetti in massa
L’uomo che ha dato l’ordine allo Stato islamico prima di cessare gli attacchi e poi di ricominciare più forte di prima come fosse un direttore d’orchestra è senza nome. Di lui sappiamo che è un ex comandante dei talebani che da qualche anno è passato allo Stato islamico e si fa chiamare Shahab il Migrante. Un rapporto delle Nazioni Unite del luglio 2020 diceva che Shahab viene dal medio oriente, dall’Iraq o dalla Siria, e sarebbe un arabo, quindi non c’entrerebbe nulla con lo Stato islamico locale e sarebbe arrivato da straniero a fare il Papa straniero. Fonti afghane invece dicono che Shahab viene dal Pakistan e questo soprannome, il Migrante, sarebbe una mezza presa in giro per depistare chi indaga sulla sua identità. I rapporti delle Nazioni Unite sono compilati grazie a informazioni passate dalle intelligence dei paesi membri, ma a volte possono sbagliare. A sostenere che il Migrante sia un pachistano è Borhan Osman, un analista afghano puntigliosissimo che ora, per disgrazia di tutti, ha smesso di scrivere ma portava informazioni sempre solide. La nomina del Migrante a capo del gruppo è stata annunciata nel giugno 2020, con un messaggio audio che però è stato letto da un portavoce e non direttamente da lui e ha fatto moltiplicare le domande: perché non parla? Perché non è fluente nelle lingue dell’Afghanistan, che sono il dari e il pashto? Oppure perché la sua voce è riconoscibile, soprattutto dagli ex compagni?
I talebani sono in stato confusionale e per ora sono nella fase della negazione. Domenica 3 ottobre il portavoce ufficiale, Zabihullah Mujahid, ha dichiarato che lo Stato islamico “non è una minaccia, è soltanto un mal di testa. Lo distruggeremo”. Poche ore più tardi è andato in moschea in centro a Kabul per partecipare ai funerali della madre, con altri dirigenti talebani, un attentatore suicida dello Stato islamico ha provato a entrare dietro di lui, è stato bloccato dalla sicurezza, si è fatto saltare in aria e ha ucciso due guardie. Se fosse riuscito a entrare avrebbe ucciso Zabihullah e altri lo stesso giorno della dichiarazione sul mal di testa. Venerdì 9 ottobre un altro attentatore è riuscito a entrare in una moschea sciita di Kunduz, al nord. I talebani avevano disarmato la milizia sciita locale che di solito proteggeva l’edificio, la bomba ha ucciso almeno cinquanta persone. Poi il venerdì successivo è toccato a un’altra moschea sciita, a Kandahar. Shahab il Migrante conosce il numero di volontari suicidi a disposizione e scandisce gli attacchi per fare ancora più impressione.
I talebani tentano di nascondere il numero reale delle vittime, la loro agenzia ufficiale dopo l’attacco di Kandahar ha detto che i morti erano quarantatré ma l’inviato del Wall Street Journal ha contato le fosse al cimitero ed erano sessantacinque ed è certo che poi il bilancio sia cresciuto. E intanto hanno cominciato una campagna silenziosa di repressione su larga scala, fatta di uccisioni extra giudiziali e di rastrellamenti di massa. Non c’è alcuna informazione ufficiale da parte del governo a proposito di questa campagna, ma ci sono le testimonianze locali. A Jalalabad i talebani hanno ucciso e abbandonato in strada almeno una decina di salafiti, per il solo fatto che erano salafiti. I salafiti sono musulmani ma la loro dottrina è diversa da quella dei talebani, che sono hanafiti, e quindi sono guardati con sospetto e sono considerati vettori delle idee dello Stato islamico. Nella provincia di Nangarhar i talebani avrebbero arrestato almeno millecinquecento persone accusate di avere legami con lo Stato islamico – ma è possibile che molti arresti siano casuali. Degli arrestati non ci sono notizie. A Kabul i giornalisti internazionali possono più o meno fare il loro lavoro, ma più si allontanano dalla capitale e più diventa difficile capire cosa succede. Se la strategia dei talebani è minimizzare il numero delle vittime e arrestare migliaia di persone a caso, non funzionerà.
Il ministro talebano Haqqani celebra con il volto nascosto gli stragisti suicidi in un hotel attaccato due volte
A essere precisi Shahab il Migrante non faceva parte dei talebani, ma di una sotto-fazione d’élite che si chiama rete Haqqani e si occupava degli attentati più spettacolari e delle azioni più pericolose. Un incrocio fra un clan familiare e un reparto speciale. Shahab, secondo le poche informazioni a disposizione, faceva parte dell’unità clandestina che si occupava degli attentati a Kabul prima di passare con gli altri. Quando a metà agosto i talebani hanno preso la capitale senza sparare un colpo, la rete Haqqani si è presa il compito di gestire la sicurezza della capitale. Un paio di loro, Sirajuddin Haqqani e Khalil Haqqani, sono persino diventati ministri nel nuovo governo talebano e un altro, Anas Haqqani, è entrato nell’ufficio politico. Come in una lotta tra gang si devono guardare le spalle dallo scissionista Shahab, che come ex membro conosce procedure e punti deboli. E infatti il 26 agosto a dispetto di tutti gli avvertimenti che circolavano è riuscito a eseguire un’operazione contro l’aeroporto internazionale che ha ucciso quasi duecento persone, inclusi tredici soldati americani. E’ uno scontro tra ex.
Ieri Sirajuddin Haqqani, ministro dell’Interno del governo talebano (il governo che si lamenta di non essere stato ancora riconosciuto dalla comunità internazionale), ha presieduto una cerimonia dentro un salone di lusso dell’Hotel Intercontinental di Kabul, uno dei due alberghi a cinque stelle della città, per premiare con vitalizi i familiari degli attentatori suicidi del gruppo Haqqani morti in questi anni. Non male considerato che il gruppo Haqqani ha attaccato due volte, nel 2011 e nel 2018, l’Hotel Intercontinental con uno dei loro raid tipici: una squadra di volontari con corpetti esplosivi entra nell’edificio, ammazza gli ospiti stanza per stanza, resiste il più a lungo possibile contro le forze di sicurezza e quando trova bersagli paganti – come una sala piena di gente – si fa saltare in aria. Queste operazioni a volte duravano più di ventiquattr’ore e i media internazionali si assiepavano fuori dal cordone di sicurezza dell’esercito afghano a raccontare minuto per minuto ogni raffica di mitra e ogni esplosione. Ma se si va a sfogliare l’elenco dettagliato delle operazioni suicide di questi anni a Kabul si nota una stranezza: alcuni grandi attentati non sono stati rivendicati dai talebani e nemmeno dallo Stato islamico. Sono rimasti senza attribuzione, spesso perché i camion bomba usati negli attacchi avevano ucciso troppi passanti afghani. Sarebbe da andare a cercare in queste stragi rimaste senza etichetta gli uomini che poi hanno scelto di passare con lo Stato islamico – e tra loro anche Shahab il Migrante. Dettaglio interessante: nelle fotografie della cerimonia pubblica presieduta da Sirajuddin Haqqani dentro l’hotel a cinque stelle, con centinaia di presenti, la faccia del ministro è oscurata perché di fatto è ancora un ricercato per terrorismo con una taglia sulla testa. Del resto anche il leader supremo dei talebani, Hibatullah Akhundzada, non si è fatto ancora vedere in pubblico. Di lui non si hanno notizie certe e sono passati due mesi dalla vittoria finale.
Lo Stato islamico scrive i comunicati dall’Afghanistan con l’intento preciso di far saltare i nervi ai talebani e alle potenze confinanti. Il suicida della moschea di Kunduz è stato identificato nella nota di rivendicazione come Mohammed l’Uiguro. Non era un uiguro con passaporto cinese, sembra fosse turco, ma l’etnia uigura è quella perseguitata dal regime cinese per la fede musulmana e la Cina è preoccupata dalla possibilità che l’Afghanistan possa diventare un magnete per uiguri arrabbiati. I talebani ad agosto hanno promesso alla Cina che non succederà e hanno garantito che deporteranno in Cina tutti i militanti uiguri e lo Stato islamico a ottobre rivendica una strage da almeno cinquanta morti (ma forse sono cento) per mano di un volontario uiguro. I terroristi nel prossimo video faranno di certo notare – lo hanno già detto nel loro materiale di propaganda – che i talebani collaborano con la Cina atea che imprigiona i musulmani uiguri a milioni nei lager.
Il Migrante può ordinare allo Stato islamico di sospendere di colpo gli attacchi in Afghanistan
Uno dei due suicidi della moschea di Kandahar era Abu Anas il Beluci, quindi appartenente al popolo dei Beluci che vive nella regione arida a cavallo fra Iran, Pakistan e Afghanistan. Sembra che Abu Anas avesse passaporto iraniano e vale quello che si è detto per la Cina. L’Iran è preoccupato dalla possibilità che l’Afghanistan possa diventare un magnete per fanatici che massacrano sciiti, i talebani ci tengono a conservare relazioni cordiali con l’Iran ma appaiono impotenti mentre la conta degli attacchi deliberati contro le moschee sciite che avvengono sotto il loro naso cresce. Hanno chiesto all’Iran di mandare un aereo a prendere gli sciiti feriti nell’attacco a Kandahar per portarli negli ospedali iraniani e offrire loro cure migliori. Tre giorni fa l’Iran ha nominato Hassan Kazemi Qomi come inviato speciale per l’Afghanistan. E’ l’ex ambasciatore iraniano che arrivò a Baghdad subito dopo l’invasione americana nel 2003, quando c’era da organizzare gli sciiti locali per farli diventare una forza riconoscibile. E’ un uomo del generale Qassem Suleimani (morto l’anno scorso), quindi un uomo delle Guardie della rivoluzione. Anche in questo caso, la propaganda dello Stato islamico si scrive da sola: i talebani collaborano con i pasdaran sciiti, sono traditori della fede sunnita. E’ la ragione per la quale attaccano ogni settimana le moschee sciite, che dal punto di vista militare non contano nulla.
Lo Stato islamico non ha le forze per contendere il paese ai talebani – e neppure il controllo di una singola città afghana. Ha le forze per condurre una guerriglia a intensità molto bassa, per aggredire minoranze religiose, organizzazioni non governative, giornalisti e altri, per rendere paranoica la società afghana, per rendere insicuri gli spostamenti e per complicare la vita quotidiana e i rapporti con l’esterno. Aggiunge una tonalità più scura al buio che c’è già.