tra Caracas e Roma

Il filo rosso, tutto italiano, che unisce le storie di tre faccendieri venezuelani

Maurizio Stefanini

L'ex capo degli 007, Hugo Carvajal, l'ex ministro del Petrolio del regime di Chavez, Rafael Ramirez e il faccendiere Alex Saab, ora a processo negli Stati Uniti. Una carrellata degli strani personaggi che si muovono tra Caracas e Roma

Soldi sporchi, chavismo, estradizioni, Italia. E’ un curioso groviglio, quello che in queste ore si sta dipanando attorno a queste quattro parole chiave e a tre personaggi. Il primo è Hugo Carvajal, detto “el Pollo” per avere il collo lungo e la testa piccola. Da lui arriva l’informazione che il regime venezuelano avrebbe dato in contanti 3,5 milioni a Gianroberto Casaleggio per finanziarci i Cinque Stelle. Classe 1960, generale, dopo aver tentato con Chávez il golpe del 1992 fu al vertice del controspionaggio (Dgcim) tra luglio 2004 e dicembre 2011, e poi di nuovo tra aprile 2013 e gennaio 2014. Deputato del partito chavista tra 2016 e 2021, il 21 febbraio 2019 annunciò clamorosamente che riconosceva Guaidó come legittimo presidente. Cinque giorni dopo un tribunale venezuelano ordinò la sua detenzione, per le accuse di tradimento alla patria, cospirazione, finanziamento al terrorismo e associazione illecita. Scappò in Spagna, ma lì fu arrestato il 12 aprile 2019 su richiesta di estradizione degli Stati Uniti, per complicità col narcotraffico. 


Evaso dai domiciliari l’8 novembre 2019, c’è la voce che sia stato lui nel giugno del 2020 dalla latitanza a far avere al giornalista Marcos García Rey l’altro clamoroso documento sui finanziamenti del regime venezuelano ai Cinque Stelle. Di nuovo arrestato dalla Polizia spagnola lo scorso 9 settembre, il 21 settembre anche il Venezuela ne ha chiesta l’estradizione. Ma adesso è stata decisa la sua estradizione negli Stati Uniti. La lettera che ha fatto avere a OKDIARIO e in cui dettaglia finanziamenti chavisti a Podemos, ai Cinque Stelle e a una serie di leader latino-americani va sicuramente letta in questa chiave, anche se non è del tutto chiaro in che senso. Un modo per bloccare l’estradizione col far partire un processo in Spagna? Un messaggio in codice? O una offerta di collaborazione agli Stati Uniti  per avere uno sconto? 


Il secondo è Rafael Ramírez. Classe 1963, ingegnere, tra 2002 e 2013 ministro del Petrolio del regime chavista, tra 2004 e 2013 anche presidente della petrolifera di stato Pdvsa. Capofila di una delle cordate che dopo la morte di Chávez si accordarono per la successione di Maduro, fu però da lui promosso per essere rimosso dalla cassaforte petrolifera: dal settembre al dicembre del 2014 ministro degli Esteri, poi fino al 4 dicembre del 2017 ambasciatore all’Onu. Ma dopo essere stato destituito non è più tornato in Venezuela, anche perché è stato subito accusato di aver rubato alla Pdvsa 4,8 miliardi di dollari. Lui ha risposto rivelando a sua volta trame di corruzione in cui ha tirato dentro sia il governo sia l’opposizione. Nel suo caso l’estradizione l’ha richiesta il governo del Venezuela: all’Italia, perché tramite una moglie italiana di nome Beatrice Sansó ha un passaporto del nostro paese e risulta residente a Roma. Sia a luglio che a settembre dal governo venezuelano sono trapelate informazioni che l’estradizione era stata accettata, ma sono state smentite entrambe le volte.


Il terzo è Alex Saab. Classe 1971, nato in Colombia da famiglia libanese, venditore di portachiavi e di abiti di lavoro, viene introdotto al regime chavista attraverso Piedad Córdoba, politica colombiana a esso vicina. Coinvolto in progetti del governo venezuelano per fornire case e generi alimentari alla popolazione su cui avrebbe guadagnato  almeno 350 milioni, era poi diventato prestanome di Chávez e poi di Maduro per una rete di un centinaio di imprese di facciata, sparse per 17 paesi e per un valore di almeno un miliardo di dollari. Arrestato a Capo Verde il 12 giugno del 2020 su richiesta dell’Interpol durante uno scalo di ritorno da un viaggio in Iran per trattare benzina in cambio di oro, estradato negli Stati Uniti sabato scorso, lunedì a Miami è stato incriminato per otto accuse di riciclaggio, ognuna delle quali potrebbe comportare 20 anni. Nel suo caso il contatto italiano è la moglie Camilla Fabbri: una ex-modella romana 27enne con cui ha due figli, di quattro e un anno. Commessa in un negozio di abiti a Milano per 1.800 euro al mese, pagava però un affitto da 5.800 euro, e possedeva una Range Rover da 54.500 euro, un appartamento da 5 milioni al quarto piano di Via Condotti e opere d’arte per 1,8 milioni. Tutto sequestrato dalla Guardia di Finanza per sospetto riciclaggio, mentre lei riparava a Mosca. Ma adesso è apparsa a Caracas, e fa conferenze stampa in cui afferma che suo marito è vittima di torture. 

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