il dibattito

Così i giornalisti più giovani hanno reso woke i giornali della sinistra francese

Mauro Zanon

La spaccatura generazionale nelle redazioni. “I giovani tendono a essere maggiormente influenzati dall’isterizzazione del dibattito su Twitter. C’è anche la tentazione di essere più radicali per allargare la propria comunità di follower”. Un'inchiesta del Figaro svela i contorni del fenomeno

Da quando Dominique Nora ha lasciato la direzione dell’Obs, il settimanale della gauche parigina fondato da Jean Daniel nel 1964, la linea editoriale ha subìto una trasformazione radicale che ha aggravato la spaccatura generazionale tra i giornalisti storici e le nuove firme. “Dominique Nora era l’ultima guardiana del tempio. Incarnava la stabilità di una linea editoriale di sinistra universalista”, ha detto un giornalista del settimanale al Figaro, che ha pubblicato un’inchiesta sulle fratture ideologiche che attraversano i media di sinistra parigini. Nelle redazioni dell’Obs, di Libération e del Monde l’atmosfera non è più la stessa da quando il politically correct e l’ideologia woke di matrice americana hanno fatto irruzione nel dibattito pubblico francese, ma anche tra i desk, attraverso i giovani e giovanissimi giornalisti, figli del web e dei social network. “La nuova generazione tende a promuovere il politicamente corretto, con in testa la paura di banalizzare le idee pericolose”, ha spiegato al Figaro una firma dell’Obs. 


Nella rivista di proprietà del Monde Libre, la stessa holding che controlla il Monde, il cambio di linea ha coinciso con la nomina a direttore di Cécile Prieur, vicina a posizioni più radicali rispetto al suo predecessore: posizioni che strizzano l’occhio all’ideologia decoloniale e al decostruzionismo in voga nei campus liberal americani. E’ la copertina “Esclavage, une histoire française” che ha fatto fuggire dal cda del settimanale Édouard Tétreau. Secondo quest’ultimo, un giornalismo militante imbevuto di ideologie estremiste sta erodendo l’universalismo repubblicano incarnato dalla gauche di Jaurès, e di cui l’Obs si è fatto portavoce per più di cinquant’anni. “Nel quotidiano, non si ride più delle stesse cose, non ci si indigna più delle stesse cose”, conferma una firma dell’Obs. 


Lo stesso vale per Libération, dove l’arrivo dell’ex vignettista di Charlie Hebdo Corinne Rey, conosciuta come Coco, ha diviso la redazione. Sui social, la disegnatrice si presenta come “anti woke” e i suoi disegni, dai lettori ma anche da una parte della redazione, sono spesso giudicati “sessisti” e “islamofobi”. “Alcuni fanno fatica ad accettare che si possa ridere delle minoranze”, spiega un redattore di Libération, prima di aggiungere: “I giovani che arrivano a Libé pensano di entrare in un quotidiano di estrema sinistra. Ma non è così. Allora ci sforziamo di ricordare i princìpi fondamentali del giornale: il pluralismo d’espressione tra la sinistra radicale, la tendenza ecologista e la social-democrazia”. 


Secondo il giornalista Samuel Laurent, sono i social network ad aver inasprito la frattura ideologica e generazionale tra i giornalisti: “I social sono diventati re. Ritmano il tempo dell’informazione, con una logica di reazione a caldo che si scontra con le redazioni”. Secondo un caporedattore sentito dal Figaro, “i giovani tendono a essere maggiormente influenzati dall’isterizzazione del dibattito su Twitter. C’è anche la tentazione di essere più radicali per allargare la propria comunità di follower”. 


Al Monde, sul velo islamico, sul femminismo e sulla difesa delle minoranze, “le divergenze sono percepibili”, ha raccontato un redattore. Per venire incontro a una parte della redazione, la direzione ha creato un comitato dedicato alla scrittura inclusiva, che, tra le altre cose, insegna “le nuove parole dell’antirazzismo”. La pubblicazione dell’appello anti MeToo di Catherine Deneuve, nel 2018, provocò forti tensioni al Monde, con minacce di dimissioni. Lo stesso accadde quando lo scorso marzo scoppiò il caso delle riunioni “non-miste”, ossia vietate ai bianchi, organizzate dal sindacato studentesco Unef. “C’è stata una frattura tra i giornalisti – ricorda una firma del Monde – Da un lato, alcuni dicevano che eravamo stati troppo timidi nella denuncia. Dall’altro, soprattutto i più giovani, ritenevano invece che eravamo stati intolleranti nei confronti di quel fenomeno”.

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