(Ansa)

Il colpo di stato

Il golpe in Sudan azzera i tentativi di mediazione americani

Enrico Pitzianti

I militari arrestano il primo ministro, bloccano internet e occupano la televisione di stato. Proteste nelle strade per difendere la democrazia

In Sudan una “forza militare mista” – così l’ha chiamata il ministro dell’Interno – ha arrestato il primo ministro Abdalla Hamdok: è un tentativo di colpo di stato. Oltre al primo ministro sono stati arrestati anche il ministro dell’Informazione Hamza Baloul, quello dell’Industria e del Commercio Ibrahim al Sheikh, un membro del consiglio Mohammed al Fiky Suliman e Ayman Khalid, cioè il governatore della regione che comprende anche la capitale Khartum. I militari che nelle prime ore del mattino hanno fatto irruzione nell’abitazione di Hamdok volevano una dichiarazione in favore del golpe, ma il premier si è rifiutato e così, insieme agli altri cinque esponenti civili del governo, è stato portato in una località sconosciuta.

Il golpe sembra essere promosso dall’ala militare del governo sudanese stesso. Per capire il motivo di questo cortocircuito bisogna fare un passo indietro e tornare al 2019, quando Abdalla Hamdok e il resto dell’esecutivo furono nominati per permettere al Sudan una transizione verso un sistema democratico. L’esecutivo, oggi decapitato dal golpe, era la risposta politica a una volontà popolare specifica: liberarsi finalmente, dopo trent’anni, dalla dittatura islamista di Omar al Bashir.

 

La tensione tra l’ala civile e quella militare del governo di transizione si era già vista lo scorso mese, con un tentativo di colpo di stato che è fallito, ma ha comunque messo in luce e inasprito i rapporti tra le due fazioni che compongono l’esecutivo. Una, quella militare e islamista, fa ancora riferimento all’ex dittatore Al Bashir, l’altra rappresenta chi la dittatura è riuscito a rovesciarla a partire da grandi manifestazioni di piazza. 

Dopo il tentativo di golpe dello scorso settembre ci sono state proteste di entrambi gli schieramenti, prima i fedelissimi dell’ex dittatore e poi, in misura maggiore, dei sostenitori della transizione democratica. Oggi quelle scene si ripetono: a Khartum migliaia di manifestanti hanno occupato piazze e strade nella speranza che la pressione popolare basti a fermare il colpo di stato già in atto. Nel frattempo però sono apparsi per le strade della capitale molti posti di blocco operati dalle “Forze di reazione rapida”: sono le stesse milizie che hanno combattuto la guerra del Darfur per conto del governo sudanese di Al Bashir.

 

Il successo di un colpo di stato si decide in poche ore, quindi tutto accade all’unisono: i militari, oltre agli arresti avvenuti all’alba, hanno chiuso l’aeroporto (lo riporta per prima l’emittente al Arabiya) e fatto in modo che internet non funzionasse da molti provider né da fisso né da mobile. Ci sarebbero stati scontri a fuoco nella capitale, anche nei pressi del quartier generale militare dove centinaia di manifestanti si sono radunati per protestare contro il golpe. La televisione di stato invece trasmette come se non stesse accadendo nulla, e non cita né gli arresti né le manifestazioni, se non per annunciare che Abdel Fattah al Burhan, l’ufficiale militare a capo del Consiglio Sovrano del Sudan, che al momento detiene il potere, avrebbe fatto delle dichiarazioni pubbliche a breve.

Al Burhan ha tenuto il suo discorso alla nazione: ha dichiarato lo scioglimento del governo, del Consiglio Sovrano e di tutti gli organi di governo locali. Infine ha annunciato che il consiglio militare che presiede governerà fino al 2023 e che “continuerà la transizione democratica del paese”.

 

Sul fronte opposto associazioni pro-democrazia come la Sudanese Professionals Association (Spa), la più influente e seguita del paese, invitano la popolazione a «scendere nelle strade e occuparle, chiudere tutte le vie con delle barricate, organizzare uno sciopero generale dei lavoratori, non cooperare con i putschisti e usare la disobbedienza civile per affrontarli». Ma l’invito dell’Spa è stato diffuso via Facebook, e non è chiaro chi, in Sudan, oggi riuscirà davvero a leggerlo.

Stando a quanto scrivono il Guardian e Reuters Jeffrey Feltman, l'inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d'Africa, lo scorso fine settimana ha incontrato i leader militari e civili sudanesi nel tentativo di risolvere le tensioni tra le due anime del governo ed è riuscito a raggiungere un accordo proprio tra il premier Hamdock e Al Burhan. Anche Antony Blinken, l’attuale segretario di stato della Casa Bianca, lo scorso 21 ottobre aveva espresso pubblicamente una certa preoccupazione per la situazione sudanese. Evidentemente questi tentativi diplomatici sono falliti e Washington oggi sarebbe, sempre dalle parole di Feltman, “profondamente allarmata” dalle notizie della presa di potere militare.

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