Il gran tavolino
Gli organizzatori del 6 gennaio hanno fatto “decine di incontri” con gli uomini di Trump
Due fonti che avevano organizzato la protesta al Campidoglio – poi diventata un attacco – rivelano di avere incontrato alcuni rappresentanti repubblicani alla Camera, con i loro staff e anche con i membri della Casa Bianca
Ci eravamo fatti l’idea che la protesta del 6 gennaio davanti al Congresso americano poi degenerata in un’irruzione senza precedenti fosse stata il frutto di un raptus spontaneo della folla trumpiana. Invece più i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’attacco del 6 gennaio vanno avanti – sono arrivati al terzo mese – e più è chiaro che la sommossa di quel giorno faceva parte di un piano studiato in anticipo da Donald Trump e dal suo staff per ribaltare il voto. C’era una parte legale, basata su un parere di sei pagine scritto da un consigliere della Casa Bianca, John Eastman, che spiegava come arrivare all’annullamento della vittoria di Joe Biden. E c’era una parte affidata alle proteste di strada, che quel giorno avrebbero dovuto intimidire i deputati repubblicani chiusi dentro al Campidoglio e avrebbero dovuto spingerli a non certificare i voti a favore di Biden.
Ora Rolling Stone ha parlato con due fonti che avevano organizzato la manifestazione del 6 gennaio e stanno collaborando con gli investigatori del Congresso – per adesso devono restare anonime – e rivelano di avere avuto decine di incontri di preparazione con alcuni rappresentanti repubblicani alla Camera, con i loro staff e anche con membri della Casa Bianca. Da molti mesi ci sono racconti e testimonianze sul fatto che la folla che aggredì il Campidoglio era stata aiutata da deputati repubblicani, adesso però le accuse diventano solide.
I due sostengono di avere incontrato Mike Meadows, capo dello staff della Casa Bianca, e dicono che avrebbe avuto la possibilità di prevenire le violenze di quel giorno. Inoltre sostengono di avere incontrato la deputata Marjorie Taylor Greene della Georgia, Paul Gosar dell’Arizona, Lauren Boebert del Colorado, Mo Brooks dell’Alabama, Madison Cawthorn della Carolina del nord, Andy Biggs dell’Arizona e Louie Gohmert del Texas. La lista è interessante perché si tratta di deputati che prima, durante e dopo il 6 gennaio hanno sostenuto a spada tratta la Big Lie – l’accusa falsa lanciata da Trump che lo vorrebbe vittima di un furto di voti per eleggere Biden al suo posto – e sono stati molto indulgenti con gli aggressori del 6 gennaio, persino durante il breve periodo di tempo nel quale la gravità dell’attacco fu riconosciuta da tutto il Partito repubblicano. Poi la posizione è andata via via sfumando e adesso si è rovesciata: l’attacco del 6 gennaio non è più considerato grave tra i repubblicani e chi collabora con la Commissione d’inchiesta è considerato un traditore.
Fra i passaggi significativi raccolti da Rolling Stone c’è che gli aiutanti di Paul Gosar e lui stesso avevano fatto intendere agli organizzatori che alla fine Trump avrebbe concesso a tutti il perdono presidenziale. Il messaggio era: non temete di commettere qualche reato, poi il presidente sistemerà tutto perché ne ha il potere. L’idea che l’attacco al Congresso facesse parte di un piano premeditato si armonizza con i fatti di quel giorno, a partire dalla riluttanza del presidente Trump a fermare la protesta fino alla presenza dei deputati citati. Brooks e Cawthorn erano assieme a Trump sul palco della manifestazione principale. Il primo, che indossava un giubbotto antiproiettile, disse alla folla che “questo è il giorno nel quale i patrioti americani cominceranno a colpire duro”. Gosar, Greene e Boebert erano stati annunciati come oratori alla cosiddetta “Protesta selvaggia” davanti al Campidoglio sempre quello stesso giorno.