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L'ex leader dei conservatori inglesi

Il G20 ombra: “La Cina è una minaccia”, ci dice Duncan Smith

Giulia Pompili

Hong Kong, Tibet e Xinjiang. A Roma si riunisce pure l’alleanza globale anticinese

Il messaggio è soprattutto estetico: mentre a Palazzo Chigi si svolgeva l’atteso incontro bilaterale tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, a pochi metri di distanza l’ex imprenditore Bill Browder, ideatore del Magnitsky act, parlava della necessità di far adottare a tutti i paesi del G20 una legge contro le violazioni dei diritti umani.  Browder è uno degli ospiti d’onore di quello che è stato definito il “G20 ombra”, un vertice parallelo tra legislatori di tutto il mondo che hanno una causa in comune: contenere l’assertività cinese e inchiodare Pechino alle sue responsabilità dal punto di vista politico e umanitario.
 

Il parlamentare inglese Duncan Smith (Ansa)

L’Inter-Parliamentary Alliance on China, abbreviato in Ipac, piattaforma nata poco più di un anno fa ma già parecchio influente, ha scelto come location per la sua prima riunione in presenza non a caso Piazza di Montecitorio nei giorni della riunione delle grandi economie del mondo. Il leader cinese Xi Jinping non è venuto a Roma, così come non sarà alla Cop26 di Glasgow, ma di certo la visita in Italia del ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, è stata parecchio infastidita dalla presenza di tutti quelli che la Cina considera disturbatori, a volte addirittura nemici. Perché molti dei parlamentari che fanno parte dell’Ipac sono stati sanzionati da Pechino, o hanno un divieto d’ingresso nel paese, e al vertice di ieri, oltre a  Bill Browder, sono stati invitati ospiti come Rahima Mahmut, attivista per la protezione dei diritti umani degli uiguri, Nathan Law, attivista e politico di Hong Kong che è stato costretto dalla Legge sulla sicurezza a rifugiarsi a Londra, e  Penpa Tsering, capo del governo tibetano in esilio. 

 

Ad aprire la discussione ieri è stato il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, attualmente in missione in Slovacchia e Repubblica ceca e intervenuto alla conferenza romana in videoconferenza: “L’ascesa della Repubblica popolare cinese guidata dal Partito comunista cinese è la sfida decisiva per le democrazie globali. Questo ci permette di lavorare più a stretto contatto”, ha detto Wu, definito il giorno prima dal tabloid cinese Global Times “un secessionista”, come tutti gli altri ospiti dell’Ipac. Ma la propaganda cinese è stata dura anche con i membri dell’istituzione presenti a Roma, dalla parlamentare lituana Dovile Sakaliene  alla giapponese Shiori Yamao, dall’ugandese Lawrence Songa alla senatrice australiana Kimberley Kitching, fino agli italiani Lucio Malan (Fratelli d’Italia) e Roberto Rampi (Pd).

 

“Siamo qui a ricordare al G20 che non si può più andare avanti ignorando il comportamento cinese sullo scenario globale”, dice al Foglio il parlamentare Iain Duncan Smith, ex leader dei conservatori britannici, “sulla repressione nello Xinjiang, sullo status di Hong Kong, sugli attacchi al confine indiano, sulla militarizzazione del Mar cinese meridionale, sul fatto che sta cestinando il sistema finanziario globale con la sua manipolazione della valuta con effetti che ancora non conosciamo. E nonostante questo, siamo qui a sperare di non urtare la Cina sperando di poterci parlare di cambiamento climatico”, dice Duncan Smith. “Ma non funziona così. Bisogna dire che quando è troppo è troppo”. Eppure qualcosa sta cambiando, si parla sempre di più, anche in sedi internazionali, di diritti umani con la Cina  “Guardi, anche il mio governo non è abbastanza duro. Ogni governo ha un problema di bilanciamento con la Cina per questioni economiche. Ed è quindi difficile chiedere di prendere una posizione netta. Perfino il Regno Unito ha iniziato a scegliere su questioni strategiche ma c’è ancora moltissimo da fare per risolvere i nostri problemi con la Cina”.

 

Per esempio nel campo della dipendenza delle istituzioni accademiche dai fondi cinesi: “Le università inglesi sono troppo dipendenti dai soldi cinesi e la conseguenza è che hanno autorizzato gli Istituti Confucio a entrare nelle nostre università, e sono una minaccia. Il governo italiano e quello inglese dovrebbero dire alle università di fermare i finanziamenti del governo cinese”.  Spesso si dice però che questo atteggiamento amplifichi la percezione di una nuova Guerra Fredda, con due blocchi distinti, l’America e l’occidente contro la Cina: “È Pechino a essere in una Guerra fredda con noi”, dice Duncan Smit. “Il problema tipico del mondo libero è che, quando abbiamo vissuto certe situazioni con i paesi autoritari, siamo rimasti fermi a dirci: ma tanto non faranno mai quello che dicono di voler fare. Penso a Hitler, a Mussolini. La Cina  già da dieci anni che  di voler diventare la prima economia del mondo, una potenza egemone, e di voler sostituire il suo sistema al nostro”. L’Ipac serve a ricordare ai paesi democratici che il modello cinese non è quello in cui vorremmo vivere, “almeno io preferirei vivere in un paese dove il governo è eletto e con uno stato di diritto”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.