Perchè il Regno Unito è il paese perfetto per ospitare la Cop26

Secondo l'analista Luke Alexander non c'è da preoccuparsi per la promessa non mantenuta dei 100 miliardi, “si raggiungerà l’obiettivo nel 2023”. La sfida più grande semmai è “fissare obiettivi più ambiziosi per ridurre le emissioni entro il 2030: i prossimi dieci anni sono cruciali

Questa è l’analisi sulla Cop26 di Luke Alexander, esperto di transizione ecologica al think tank Onward, un centro studi di area conservatrice fondato da Will Tanner, ex consigliere di Theresa May, piccolo ma influente e vicino all’attuale governo, in particolare sui temi ambientali.

 

A pochi giorni dall’inizio della Cop26, è ancora tutto in grande equilibrio. Di recente, molto è stato scritto sulla mancata partecipazione di Xi Jinping al summit, e il fallimento da parte di molti paesi sviluppati di onorare la loro promessa di destinare cento miliardi di dollari all’anno per aiutare i paesi più poveri ad affrontare il cambiamento climatico. Ma questo non è essenziale per garantire il buon esito del summit. Xi non è mai uscito dalla Cina negli ultimi due anni ma molti importanti negoziatori cinesi saranno presenti alla Cop. E’ sempre più chiaro che Xi considera il cambiamento climatico come una parte importante della sua eredità politica, e lo si è visto dall’annuncio di raggiungere le emissioni zero entro il 2060 e dall’ambizione di raggiungere il picco nell’utilizzo del carbone entro il 2026. 

 

Nemmeno la promessa mancata di destinare 100 miliardi ai paesi in via di sviluppo è un grande fallimento. Verrà onorata entro il 2023, e in ogni caso ci sono buone probabilità che entro il 2025 la media della spesa dei cinque anni precedenti sarà pari a cento miliardi annui. La più grande difficoltà della Cop26 sarà concordare degli obiettivi più ambiziosi per ridurre le emissioni. E’ un’ottima notizia che oltre il 70 per cento del mondo ha promesso di raggiungere le emissioni zero, e in molti si sono impegnati a riuscirci entro metà secolo. Ma questo da solo non basterà a limitare l’aumento della temperatura globale a due gradi. La riduzione delle emissioni nei prossimi dieci anni sarà fondamentale per raggiungere questo obiettivo. Questo è il parametro con cui dovremmo giudicare la Cop di Glasgow: riuscirà a ottenere un riallineamento degli obiettivi attuali per il 2030 che ci consentiranno di tenere l’aumento della temperatura sotto i due gradi? Se il summit riuscisse in questo obiettivo, verrebbe sicuramente ricordato come un successo. 

 

In questo contesto, la Gran Bretagna è in una posizione migliore rispetto agli altri paesi europei per raggiungere le emissioni zero entro il 2050. Con la pubblicazione della Net Zero Strategy la scorsa settimana, che delinea il piano del governo per decarbonizzare l’economia entro il 2050, il Regno Unito oggi ha la strategia più completa per raggiungere le emissioni zero, ed è in una buona posizione per metterla in pratica, dato che l’agenda verde gode di un forte sostegno popolare. 

 

L’unica nota stonata è il progetto di aprire una miniera a carbone nella regione della Cumbria, su cui il governo ancora non ha preso una decisione finale. Se dovesse essere approvata, questa struttura verrebbe usata solamente fino al 2049, dunque verrebbe chiusa prima della scadenza del 2050. Inoltre, la miniera andrebbe a produrre il carbon coke con cui viene prodotto l’acciaio che è vitale per la transizione a un’economia senza carbone. La miniera non è incompatibile con questo obiettivo, ma sicuramente dà un messaggio sbagliato nel momento in cui il Regno Unito dovrebbe dare l’esempio al resto del mondo. 

 

Detto questo, la Gran Bretagna ha guadagnato un vantaggio notevole su molti altri paesi, avendo già ridotto le emissioni di carbone sotto i livelli del 1990. E soprattutto, guardando avanti, il Regno Unito ha molte opportunità per diventare una pedina chiave nelle nuove industrie associate alle emissioni zero, che porteranno nuovi posti di lavoro, daranno una spinta all’economia e alleggeriranno i costi di adattamento della transizione. Ad esempio, il Regno Unito può diventare un hub nella cattura e stoccaggio del carbonio, dato che i pozzi già esistenti nel mare del nord sono adatti a svolgere quest’attività.

 

Sfruttare al massimo queste opportunità è importante per mantenere un forte sostegno popolare verso il raggiungimento delle emissioni zero, dato che l’opinione pubblica capirà che i benefici superano di gran lunga i costi esorbitanti della transizione, che potrebbero colpire soprattutto le fasce a basso reddito. Il governo è consapevole di questo rischio e si sta impegnando per ridurlo il più possibile. Tuttavia, potrebbe fare di più. La chiave è bilanciare i prezzi dei prodotti e dei servizi, e incentivare le opzioni a bassa emissione di carbone.

 

Questo significa ridurre il prezzo di alcuni beni anziché aumentare il prezzo di altri. Molto può essere fatto in questa materia tagliando l’IVA su alcuni prodotti verdi ad alta efficienza elettrica. Parlando di spese più ingenti, ad esempio, le famiglie a basso reddito faranno più fatica ad acquistare le pompe di calore o i veicoli elettrici nel breve termine. Tuttavia, quando la vendita di macchine a benzina e diesel verrà vietata, il costo dei veicoli elettrici si sarà abbassato notevolmente e il mercato dell’usato sarà in forte crescita. 

 

Allo stesso modo, sono in vigore alcuni programmi per rendere equivalente il costo delle caldaie e delle pompe di calore nei prossimi anni. Le famiglie a basso reddito non sono obbligate ad acquistare questi prodotti nel breve termine e, secondo le stime, i veicoli elettrici e le pompe di calore costeranno come le macchine a benzina e le caldaie oggi. Però, se questo non succederà, bisognerà incrementare il sostegno alle fasce di popolazione più vulnerabili. L’aumento del prezzo dell’energia e del petrolio nelle ultime settimane velocizzerà la transizione a fonti di energia a basso carbone, che non sono mai state così indispensabili. Le rinnovabili forniscono l’energia a un minor costo, e il loro prezzo continuerà a calare mentre le innovazioni nell’energia solare, a vento e a idrogeno daranno i loro frutti. 

 

E’ falso pensare che ridurre la nostra dipendenza dal combustibile fossile nel settore energetico andrà inevitabilmente a penalizzare le famiglie a basso reddito. Nel lungo termine i prezzi dell’energia sono destinati ad aumentare indipendentemente dalla loro fonte. Il motivo non è il nostro maggiore affidamento sulle rinnovabili, ma il fatto che la domanda di energia probabilmente raddoppierà o triplicherà entro il 2050. Sviluppare fonti di energia rinnovabile, sostenuti da un affidabile carico di base nucleare, consentirà la produzione del nostro fabbisogno energetico a casa. Questo proteggerebbe i consumatori dalle fluttuazioni nel prezzo dei combustibili fossili riducendo la dipendenza della Gran Bretagna dalle potenze straniere.

 

(Testo raccolto da Gregorio Sorgi)