Lezioni amare per Biden dal voto per governatori e sindaci
Batosta elettorale per i democratici in Virginia e New Jersey. Appunti per il futuro e per la prossima campagna elettorale per il Congresso di Novembre 2022, di fatto già iniziata
Ieri notte, esattamente un anno dopo le elezioni presidenziali, i dem e i repubblicani hanno avuto l’occasione di contarsi di nuovo. E il risultato, in nessun caso, può piacere a Joe Biden. I democratici hanno vinto a mani basse lì dove si sapeva che avrebbero vinto: in città come New York, Buffalo o Boston, o nel blindatissimo 11° distretto dell’Ohio, dove bisognava sostituire la ex deputata democratica Marcia Caramell (divenuta, nel frattempo, segretario all’Edilizia nel governo di Joe Biden). Vittorie che per quanto possano far piacere, in realtà, non importano a nessuno, perché erano ampiamente previste e scontate. Quel che non era né previsto né scontato era la batosta elettorale dei democratici alle elezioni per il governatore in Virginia e New Jersey, due stati piuttosto ondivaghi in termini di elezioni per il governatore, ma che nel 2020 avevano votato compattamente per Biden.
In Virginia il democratico Terry McAuliffe (che fino alla scorsa estate i sondaggi davano avanti di dieci punti) ha perso contro il repubblicano-trumpiano-ma-non-troppo Glenn Youngkin, che pur dicendo di apprezzare l’ex presidente gli ha esplicitamente chiesto di non partecipare alla sua campagna.
In New Jersey, invece, si sta ancora contando e i due candidati Phil Murphy (democratico) e Jack Ciattarelli (repubblicano) sono separati solo da mille voti, con il repubblicano in lieve vantaggio (anche se le schede che devono essere scrutinate dovrebbero arrivare da contee democratiche).
Così, mentre in New Jersey si conta, e in Virginia si esulta o ci si dispera, quel che rimane è qualche appunto per il futuro e per la prossima campagna elettorale per il Congresso di Novembre 2022, di fatto già iniziata.
Quel che il partito di Joe Biden porta a casa da questa difficile notte sono due lezioni amare ma fondamentali. La prima è che il solo agitare davanti all’elettorato il drappo rosso di Trump non basta più (e, tra l’altro, è esattamente l’opposto della conciliazione che Biden aveva promesso: il partito democratico non può promettere di ‘guarire’ l’America e poi, alla bisogna, gettare il sale sulle sue ferite).
La seconda è che il governo Biden, in carica da meno di un anno, è già in ritardo su alcuni punti fondamentali della sua agenda, come la soluzione della pandemia e la diffusione dei vaccini, la ripresa dell’occupazione, il raffreddamento dell’inflazione, il piano di infrastrutture Build Back Better. E il tempo per risolvere tutte queste complicatissime faccende sta scadendo prima del previsto.
I repubblicani, invece, quando avranno smaltito l’euforia di questa notte, porteranno a casa altre lezioni, più dolci: la prima è che l’elettorato di Trump è rimasto comunque fedele al partito e - nonostante le minacce - non è andato da nessuna parte. La seconda è che, se debitamente corteggiato, l’elettorato moderato non è perduto per sempre, anzi: può tornare. E non è necessario avere toni e temi centristi perché questo accada. In Virginia, per esempio, il tormentone della campagna elettorale sono stati i programmi scolastici e il diritto dei genitori di partecipare alla loro stesura.
Così, a vederla da qui, da questa notte in cui i democratici snobbano la pur memorabile vittoria, con il 66 per cento, del nuovo sindaco di New York Erik Adams (afroamericano ed ex poliziotto) e si disperano per la sconfitta per un punto del candidato governatore della Virginia, la prossima campagna elettorale appare incredibilmente vicina. Un anno passa in fretta. Soprattutto se da inseguito ti ritrovi a essere inseguitore.