Radicalismo sepolto

Minneapolis e Boston bocciano il radicalismo dei democratici

Matteo Muzio

Elezioni locali deludenti per i dem. Ma che vincano o perdano, esce pesantemente ridimensionata un po' ovunque l'ala radicale del partito che aveva proposto misure drastiche dopo le violenze innescate lo scorso anno dalla morte di George Floyd

Siamo a Seattle, sulla costa ovest degli Stati Uni, in una roccaforte del Partito democratico: l’ultimo sindaco repubblicano risale al 1969. Si vota per il difensore civico oltre che per tutte le altre cariche municipali. Si fronteggiano due candidate donne. La prima, Ann Davison, è un’ex democratica diventata trumpiana che si è detta disgustata per il livello di crimine raggiunto in città dopo le proteste del 2020, con qualche scheletro nell’armadio come  l’aver filmato un video insieme a uno degli insorti dello scorso 6 gennaio. Dall’altro lato una candidata radicale, Nicole Thomas-Kennedy, che vuole “abolire” il sistema penale. Lo scorso anno aveva celebrato su Twitter l’incendio di un riformatorio, aveva definito “un imperativo morale” la distruzione di proprietà private durante le rivolte dell’estate 2020 e aveva definito come eroe l’anonimo bombarolo che aveva piazzato un congegno esplosivo in una centrale di polizia.

La candidata repubblicana, dopo aver raccolto l’appoggio di due ex governatori democratici come Gary Locke e Christine Gregoire, ha trionfato sull’avversaria la scorsa notte, insieme a un altro democratico legge-e-ordine come Bruce Harrell, già presidente del Consiglio cittadino. Quest’elezione dall’esito sorprendentemente telefonato rappresenta meglio di altre il concetto che il “defund the police” tanto popolare tra democratici più radicali lo scorso anno è lettera morta e che, se Joe Biden lo avesse adottato nel suo programma, probabilmente oggi alla Casa Bianca ci sarebbe Trump nel suo secondo mandato.


In tutte le altre città dove si è votato, però, il messaggio che ha fatto breccia anche in un elettorato colto e liberal è chiaro: bisogna far qualcosa contro la crescita del crimine. Nel luogo simbolo delle proteste, in quella Minneapolis dove fu ucciso George Floyd, il referendum per rimpiazzare la polizia con un nuovo dipartimento per la “prevenzione del crimine” è stato bocciato. Pur rieleggendo il sindaco uscente Jacob Frey che lo aveva proposto.


Ciò non vuol dire che i democratici siano andati male ovunque, anzi, hanno trionfato dappertutto o quasi. A partire dalla più grossa città in palio, quella New York che con la vittoria di Eric Adams con il 67 per cento dei voti punta a superare il populismo di sinistra di Bill De Blasio, che vuole sostituire l’anno prossimo il suo arcinemico Andrew Cuomo nella carica di governatore, attraverso un programma che sostiene la necessità di una polizia con una migliore organizzazione e un addestramento più adeguato, meno militarizzato dell’epoca di Giuliani, ma comunque in grado di affrontare le sfide di una città da otto milioni di abitanti. Certo non vuole essere accomunato al suo predecessore afroamericano David Dinkins, che venne sconfitto dall’allora procuratore distrettuale Rudy Giuliani nel 1993 proprio sulla questione dell’ordine pubblico.


A Boston e Buffalo, nello stato di New York, invece, dove i progressisti avevano le loro due più grandi speranze di vittoria, le cose sono andate in modo leggermente differente: nella capitale del Massachusetts la progressista Michelle Wu è stata eletta, prima donna asiatica dopo una lunga storia di uomini di origine italiana e irlandese, non senza una guerra con la sua avversaria Annissa Essaibi George, anche lei democratica, che l’accusava di voler “definanziare” la polizia per aver proposto un taglio del 10 per cento del budget delle forze dell’ordine. A Buffalo invece, dove India Walton si apprestava a diventare la prima sindaca socialista sul territorio americano dai tempi di Bernie Sanders sindaco di Burlington in Vermont, è stata battuta dal sindaco uscente con una campagna “write in”: ovvero con il suo nome scritto a penna sulla scheda. Mossa già utilizzata nel 2010 dalla senatrice repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski, sconfitta alle primarie dall’estremista Joe Miller.


Ciò non vuol dire che l’elettorato non voglia riformare la polizia: lo testimoniano i risultati delle consultazioni referendarie ad Austin in Texas e a Cleveland in Ohio. Nel primo caso si è votato per mantenere un limite ai finanziamenti mentre nell’ultimo si è creata una commissione di 13 membri per revisionarne periodicamente l’operato ed eventualmente investigare il comportamento scorretto di alcuni membri. Quindi sì alle riforme, ma no alla cancellazione della polizia. Anche alle minoranze (due terzi degli afroamericani, secondo i sondaggi) servono le pattuglie in strada.

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