Elezioni americane
Fare i woke è bello su Twitter ma poi perdi. Il calcolo di sopravvivenza dei dem
Come si vince oggi a sinistra? L'analista David Shor, un cancellato (ha perso il posto di lavoro), ha un'idea: è il popolarismo e dice che è l'unico argine prima dell'abisso elettorale
Si leccano le ferite, i democratici americani, e si ringhiano l’un l’altro, perché il patto di unità siglato per l’elezione di Joe Biden a presidente è saltato da un po’ ma l’Election day appena concluso (governatori e città) mostra una nuova e dolorosa impossibilità di riconciliazione. S’è perso in Virginia con un candidato dell’establishment moderato, Terry McAuliffe, che ha anche il guaio di essere una minestra riscaldata, essendo stato governatore per due mandati qualche anno fa. I radicali dem dicono: così al centro con questi vecchi arnesi non si vincerà mai (e anche: ci siamo già digeriti Biden, ora basta). Ma s’è perso anche a Minneapolis dove il referendum radicale per togliere i fondi alla polizia, grande slogan derivato dalle piazze post omicidio di George Floyd, è stato respinto. I moderati dem dicono: così sbilanciati a sinistra, assolutisti e identitari, non si vincerà mai. Di ringhio in ringhio la domanda più problematica è: ma come può vincere la sinistra?
David Shor ha una risposta: probabilmente i democratici hanno raggiunto il loro picco con la Casa Bianca, la maggioranza alla Camera e il pareggio al Senato e per un altro decennio dovrà soltanto imparare a perdere. Shor è un analista di dati che è stato cancellato per aver detto che il massimalismo radicale dei dem porta alla sconfitta.
Di recente Shor ha parlato molto perché, da quando è stato cancellato (licenziato dalla Civis Analytics, una società di dati di area liberal, per un tweet e successiva tempesta), ha fondato una propria società, la Blue Rose Research ed “è diventato una star”, ha scritto Ezra Klein sul New York Times, anzi esiste proprio un “culto di Shor”, che ha un certo seguito persino dentro la Casa Bianca. Scrive Klein: “La sua storia personale è diventata la prova della sua teoria politica: il Partito democratico è intrappolato in una cassa di risonanza di attivisti su Twitter e di funzionari woke”. Secondo Politico, Shor ha detto alla sua audience dentro ai democratici: “Non sostenete ‘defund the police’, non parlate troppo di immigrazione, fate conto che Twitter non è la vita reale, e parlate di cose che già sono popolari nel vostro elettorato invece di cercare di rendere impopolari cose che sono popolari”. New Republic ha definito Shor e i suoi seguaci (che come è facile immaginare sono più moderati che radicali) i “popularisti”, in opposizione ai populisti.
Al di là delle etichette, Shor pensa e dice, avvalendosi dei dati e del modello che ha creato nel 2019 che chiama “lo stimolatore di potere”, che i democratici sono di fronte a un abisso elettorale. Non possono far altro che perdere, insomma, perché a guidare il partito ci sono persone con profili che non sono rappresentativi: istruzione più alta della media, radicalismo più alto della media, vita in città e mai altrove. Questa impostazione condiziona la scelta dei candidati e quindi la strategia elettorale, che porta a definire “popolare” ciò che in realtà lo è soltanto per una parte del partito. I detrattori di Shor dicono che lui non fa mai vedere i suoi dati (non può farlo: fa ricerche per dei clienti che quindi hanno la proprietà di quei dati) e che immagina un partito moderato che è quello che di fatto c’è già. Il popolarismo è quindi un guardiano dello status quo, terrorizzato di poter soltanto perdere? Shor ribatte: i democratici devono vincere in zone che tendono verso i repubblicani, e gli swing voters lì non sono radicali, non sono woke e vedono il mondo in modo diverso rispetto all’élite del partito. Più che una strategia è il calcolo di una sopravvivenza.