Péter vs Viktor
Più Europa, più diritti, abolita la corruzione. Il tour brussellese di Márki-Zay, l'anti Orbán
Il candidato dell'opposizione in Ungheria ha fatto sdilinquire molti europei con le sue parole e il suo programma. Ma fa anche qualche critica, e al premier non risparmia nulla
“Più Europa, più stato di diritto, lotta alla corruzione e ripristino dei valori democratici”: ha sintetizzato così il suo programma Péter Márki-Zay, l’anti Orbán, il candidato di tutta l’opposizione dell’Ungheria contro Fidesz e contro il premier, durante i suoi incontri a Bruxelles. Un ungherese che pronuncia di fila tutte quelle parole senza smorfie e senza ironia è una novità che ha fatto sdilinquire tutta l’Europa, che negli ultimi anni si è ritrovata più volte a dover rivedere i propri piani in funzione dell’ostilità del governo di Budapest.
Márki-Zay, noto con l’acronimo Mzp, è un conservatore cattolico, ha sette figli, è dal 2018 il sindaco di una piccola città dell’Ungheria, ha vissuto e lavorato in Canada e negli Stati Uniti, parla in modo convincente senza utilizzare slogan facili (molti che lo conoscono ripetono: è calmo), è pro europeo ma duro sull’immigrazione, è “cento per cento a favore dei diritti Lgbtq+” (“dobbiamo dare gli stessi diritti alle coppie omosessuali”), guida una coalizione di partiti tenuti insieme dall’opposizione all’attuale governo ma non cerca, almeno per ora, famiglie europee cui apparentarsi (anche se ha avuto molti contatti con i popolari europei), è critico con la gestione della Germania di Angela Merkel delle ostilità di Orbán (la cancelliera è stata troppo conciliante con l’Ungheria? “Sì”; perché? “Bastano tre parole: Bmw, Audi e Mercedes”), e agli europei dice: badate bene a come distribuite i vostri fondi, l’Ungheria ne ha molto bisogno, ma non il suo governo.
La lotta alla corruzione è il principale obiettivo di questo cinquantenne che è riuscito a mettere insieme la variegata e quindi divisa opposizione a Orbán: vuole smantellare il sistema di potere creato dal premier in anni di dominio, ma per farlo non parte dallo stato di diritto o dalla retorica democratica, bensì dai soldi e dalla loro distribuzione. Anne Applebaum, studiosa dell’estremismo conservatore soprattutto nell’est europeo, ripete da tempo che il presupposto e al contempo la conseguenza del populismo è la corruzione, e che è agendo sull’accumulo di denaro dei leader illiberali e dei loro alleati che si riesce a sgretolare un potere populista. Márki-Zay, che è un liberale pro business, è convinto di questa cosa e ha trovato, nella sua prima visita ufficiale in Europa, sguardi molto attenti. A Bruxelles sono in tanti a condividere questo approccio: checché ne dica Orbán, che ama travisare ogni azione europea a proprio vantaggio tanto che ormai per tutti i suoi seguaci l’Ue è peggio dell’Urss, il congelamento dei fondi del Recovery fund non è dovuto alla questione dei diritti gender, ma al fatto che non c’è alcuna garanzia su come verranno utilizzati questi fondi.
Márki-Zay ha detto che se diventerà premier alle elezioni del prossimo aprile, riscriverà la Costituzione, tornerà a essere un partner leale dell’Ue e della Nato, e comincerà il processo di adesione all’euro. Ma sull’immigrazione è molto critico nei confronti dell’Ue, che non riesce a trovare una voce comune (sulle divisioni e le incompletezze del progetto europeo ha idee molto chiare e anche feroci), e parla apertamente della necessità di muri. Anzi, ribalta pure la retorica di Orbán: in un’intervista a un’emittente ungherese ha detto che chiunque creda che il premier sia anti immigrazione si sbaglia, il premier ha fatto entrare moltissima gente, selezionandola, perché il paese ha bisogno di manodopera. Márki-Zay sa anche essere brutale: parla della presunta omosessualità del figlio di Orbán così come della celebre orgia gay brussellese in cui fu scovato, sul cornicione in fuga, uno degli architetti della propaganda anti gay ungherese. Contro la corruzione e contro l’ipocrisia, combattendo sullo stesso terreno conservatore del premier: se è un sogno, non svegliateci.