l'incontro

Tavola rotonda sul ritiro dall'Afghanistan. Minniti: "A Kabul l'Europa unita non si è vista"

Priscilla Ruggiero

Giornalisti, diplomatici e politici discutono dei nuovi assetti del paese dopo il ritiro delle truppe occidentali. Emerge l'urgenza di una difesa europea, per un ruolo più incisivo dell'Ue negli scenari globali: dal Pacifico al Mediterraneo, ma anche sul confine orientale

Si è svolta ieri la tavola rotonda sul ritiro dall’Afghanistan – “Un giorno in più a Kabul” organizzata dalla Rappresentanza italiana della Commissione europea: ospiti il direttore della Rappresentanza Antonio Parenti, l’ex ministro degli Interni Marco Minniti, l’ambasciatore Stefano Pontecorvo, il sottosegretario di stato alla Difesa Giorgio Mulè e il giornalista della Rai Amedeo Ricucci. I moderatori Manuela Conte e Giorgio Rutelli sono partiti dal ritiro da Kabul – gli americani sono andati via e con loro anche gli europei. 

 

Secondo la von der Leyen è necessaria una “politica di difesa europea”; se ci fosse stata questa politica, l’Europa avrebbe lasciato Kabul lo stesso giorno? Per Marco Minniti è evidente che l’Unione europea senza un’autonoma capacità di difesa e protezione non esiste: “Nel mondo attuale segnato da una gestione che di volta in volta passa dalla cooperazione alla competizione, un gruppo di paesi che non ha un’autonoma capacità di protezione non ha alcuna influenza né sul mondo né nell’area di loro competenza”. Al momento di una delle operazioni più importanti nella storia dell’umanità, a Kabul, erano presenti i singoli paesi dell’Unione europea in quanto tali “ma l’Unione europea non c’era, non perché non voleva esserci ma perché non poteva esserci; perché non aveva la capacità di poterlo fare in quanto Unione europea”. Nonostante i ringraziamenti rivolti all’ambasciatore Pontecorvo per il lavoro svolto dal governo italiano, Minniti ha sottolineato l’assenza dell’Ue in Afghanistan. 

 

Cruciale per l’ex ministro l’importanza del Mediterraneo negli equilibri del mondo: “Sono convinto che il mondo abbia due grandi assi – l’Oceano pacifico che tiene insieme l’America del nord e l’Asia, e il Mediterraneo, che tiene insieme Europa e Africa. Per un certo periodo ci eravamo convinti che il Mediterraneo non avrebbe contato quasi nulla, che fosse uno scenario storico secondario”. Ma il Mediterraneo è invece uno scenario storico cruciale: “L’Europa deve convincersi del fatto che per i prossimi vent’anni il peso della storia del pianeta si giocherà nel Mediterraneo e che al di là dei cambiamenti politici negli Stati Uniti e dei suoi rapporti con il Pacifico, spetta all’Europa cimentarsi con il Mediterraneo e con l’Africa, e per fare ciò ha bisogno di un’autonoma capacità di protezione”. Minniti ha citato poi gli aiuti richiesti da Tripoli e la crisi della Libia – che è finita per rivolgersi alla Turchia. “Dal punto di vista degli interessi europei non è tranquillizzante il fatto che Turchia e Russia siano in Libia; non è tranquillizzante il fatto che il sogno di questi due vecchi imperi oggi sia presente nel Mediterraneo centrale. Se io fossi nei panni delle classi dirigenti europee, sarei preoccupato”. L’Europa ha sempre pensato che la minaccia venisse da est – ancora oggi di straordinaria attualità – “e a un certo punto l’est è scivolato nel Mediterraneo”, dice Minniti. 

 

Per il sottosegretario Mulè dopo ciò che è accaduto in Afghanistan è giunto il momento di dare all’Italia il giusto posizionamento geopolitico, perché abbia finalmente un ruolo preciso in ambito europeo. "Gli enti europei dove l’Italia esprime la posizione di vertice? Le contiamo sulle dita di una mano monca", dice Mulè. Il capo della Rappresentanza Antonio Parenti conferma le parole di Minniti: “L’Unione europea a Kabul certe cose non le poteva fare: la storia afghana è stato uno spartiacque, ha permesso a molti paesi di comprendere i limiti dell’Ue e degli stati membri a livello globale”. Il problema però, sono sempre i numeri: la clausola Passarella, dice Parenti, darebbe all’Ue la possibilità di passare dall’unanimità alla maggioranza qualificata. L’unico scoglio è che per effettuare questo passaggio occorre l’unanimità. “Nel medio termine è necessaria una posizione più forte dell’Unione in politica estera che richiede un maggiore dibattito a livello europeo su cos’è la politica estera. Per esserci questo dibattito serve una coscienza politica europea più forte di quella che c’è oggi: l’Afghanistan ha segnato un brutto momento per l’Ue”. 

 

L’ambasciatore Pontecorvo ha trattato il tema “complicato” del ruolo della donna nella lettura talebana, lo stato attuale di donne e bambini in Afghanistan e i gruppi fondamentalisti presenti nel paese. “Ci vuole una politica forte che non vedo. Non è facile: sono quei momenti in cui il politicamente corretto ti impedisce di essere corretto”. Per Pontecorvo il problema delle donne in Afghanistan non è un problema religioso ma sociale, “che non si risolve dall’oggi al domani”. Le parole più forti sono arrivate da Ricucci: secondo il giornalista, per vent’anni si è costruita una narrazione dell’Afghanistan falsa. “La guerra contro i talebani non è mai stata vinta: al momento della sconfitta, li ho visti cambiare il turbante da nero a bianco e tornare nei villaggi. Ci hanno sempre considerato una forza occupante, un semplice bancomat”. Ranucci sottolinea le responsabilità comuni di aver accompagnato i talebani nella loro crescita, definendo tutto ciò “ipocrita”. 

 

Minniti lo ha invece definito uno “scacco drammatico per l’occidente”, un occidente che rappresenta non solo una semplice espressione geografica ma valori, principi, comportamenti, modi di vivere: una parola che spesso viene identificata con le democrazie. “Mai come adesso tutto questo viene messo in discussione. Un ritiro così drammatico si poteva prevedere: un occidente che si rispetti, degno di questo nome, non dimentica nessuno di quelli che hanno collaborato con noi e questo dovrebbe essere un imperativo categorico. Il problema non è delle leadership ma dell’occidente in quanto tale”. 

 

L’ex ministro ha parlato poi di ciò che sta accadendo in queste ore in Bielorussia: un gruppo di persone letteralmente prigioniere di una partita di cui sono soltanto “vittime”. “Possiamo pensare realisticamente che il ruolo delle democrazie si esaurisca soltanto nel tenere un profilo politically correct? La sfida che stanno giocando oggi le democrazie è la più drammatica degli ultimi cento anni, che investe gli assetti democratici nel mondo: mai come oggi le democrazie sono state sfidate”. Le democrazie sono in grado di reagire alla sfida delle autocrazie o di quelle che chiamiamo “democrazie non compiute, illiberali”? “Mi ero formato a una scuola che diceva che le democrazie senza libertà non erano democrazie. Ma se abbiamo trovato un'altra formula di convivenza per cui si possa essere democratici senza libertà, mi adeguo”. 

 

Fondamentale il ruolo della stampa, che è “una finestra sul potere e non una vetrina sul potere. Compito della stampa è tenere quella finestra perennemente accesa, essere assillanti: questo giocherà il peso della credibilità dell’occidente”.  Guardando quello che sta accadendo al confine tra la Bielorussia e la Polonia l’ex ministro si chiede: cosa stiamo facendo noi? “Abbiamo una sfida ai confini est dell’Europa e abbiamo l’Europa divisa sul costruire i muri – e non pagarli – e sul costruire i muri – e pagarli. Mi viene la pelle d’oca soltanto a pensarci; aspetto che qualcuno abbia una terza idea”, conclude Minniti.