Altro che sanzioni. Ecco le vere misure che servono per fermare Lukashenka

Micol Flammini

L’Ue prepara nuove ammende ma ha un'arma molto forte da usare contro Minsk: il commercio. Finora ha regalato almeno un anno di vita al regime bielorusso. Qualche dato

La giornata di Aljaksandr Lukashenka era iniziata con la consapevolezza di nuove sanzioni in arrivo e se il dittatore, durante una riunione con i suoi uomini, sembrava incline ad abbandonare lo scontro diretto, nel corso della giornata ha recuperato i toni di sempre: “Non c’è spazio per una ritirata” e ha minacciato di organizzare voli diretti fino a Monaco, per portare i migranti direttamente in Germania. L’Ue non si è fatta intimidire e ha dato il via libera all’estensione del regime delle sanzioni: i ministri degli Esteri dei Ventisette hanno stabilito che saranno colpiti i soggetti coinvolti nel trasporto dei migranti al confine. La lista arriverà nelle prossime settimane, e al suo interno ci saranno compagnie aeree,  agenzie di viaggi, alberghi che hanno ospitato i migranti e anche singole persone coinvolte.

Si tratterebbe di un quinto round di sanzioni da imporre alla Bielorussia, ma molti diplomatici suggeriscono che per portare il regime di Minsk alla sua fine, il percorso è un altro e bisognerebbe colpire di più l’economia: l’Ue ha margine di manovra ma deve saperlo usare.   Bloomberg ha pubblicato un articolo pieno di dati in cui dimostra che le sanzioni contro Lukashenka non hanno  toccato il commercio. Anzi, le esportazioni verso l’Ue sono quasi raddoppiate e anche questo ha contribuito a salvare l’economia dalla recessione e il dittatore dalla caduta. A giugno l’Ue ha imposto restrizioni agli scambi di prodotti petroliferi e cloruro di potassio dopo che il dittatore aveva ordinato di dirottare un volo Ryanair che viaggiava da Atene a Vilnius. 

 

Ma non sono stati toccati altri prodotti oggetto di scambio. Secondo l’agenzia di statistica bielorussa Belstat nei primi tre trimestri del 2021, il blocco europeo ha importato il 96 per cento in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente e secondo l’Eurostat, le importazioni della Bielorussia sono cresciute del 58 per cento rispetto all’anno precedente. Sono aumentate anche le esportazioni da Minsk a Mosca, ma meno rispetto a quelle con le capitali europee, nonostante Vladimir Putin e Aljaksandr Lukashenka stiano portando avanti dei piani di integrazione tra i loro paesi. I dati economici che riporta Bloomberg indicano che qualcosa nella strategia europea non va, nonostante le minacce, la strumentalizzazione dei migranti al confine – ai quali lunedì era stato detto che in Polonia li attendevano degli autobus per arrivare in Germania: tutto compreso nella tariffa pagata per lasciare i paesi di origine –, nonostante le torture degli oppositori politici in patria, il commercio va avanti come se nulla fosse e anzi avrebbe trainato anche la ripresa dell’economia bielorussa: il pil è cresciuto del 5,8 per cento nel secondo trimestre del 2021.  

Quest’anno il Fondo monetario internazionale ha anche deciso di versare un miliardo di dollari al paese per la lotta alla pandemia: Lukashenka consiglia di combattere il Covid con vodka, sauna e trattore e si può dedurre che abbia utilizzato il denaro in altri modi e non per aiutare i suoi cittadini. Sicuramente la ripresa economica è condizionata dal rimbalzo dell’economia che sta contagiando tutti i paesi e anche dall’interruzione della catena di approvvigionamento che ha aumentato la domanda di prodotti bielorussi come macchinari e anche di legno e metalli. Come tutti gli esportatori di materie prime, la Bielorussia ha beneficiato del boom della domanda globale e dell’aumento dei prezzi. Tutti questi fattori hanno contribuito a regalare sicuramente almeno un anno di vita al dittatore di Minsk che oltre a creare una crisi umanitaria più che migratoria ai confini dell’Ue, continua ad arrestare e torturare i suoi oppositori politici in patria.

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)