Così gli spot politici dei repubblicani americani cominciano ad assomigliare alla propaganda di Hezbollah
Ci sono candidati che impugnano fucili d’assalto, candidati con armi da cecchino, candidati con la mano sulla fondina della pistola, bersagli crivellati dai colpi e automobili che saltano in aria
Fra le tante cose che abbiamo imparato a considerare normali in questo periodo – ma normali non sono – ci sono gli spot dei peones repubblicani americani, che assomigliano senza volerlo a spezzoni di propaganda di Hezbollah. Ci sono candidati che impugnano fucili d’assalto, candidati con armi da cecchino, candidati con la mano sulla fondina della pistola, bersagli crivellati dai colpi e automobili che saltano in aria. I peones giustificano tutti questi spari con uno schema elementare: eccomi mentre distruggo un bersaglio che rappresenta un problema, cari i miei elettori. E io lo farò per voi con la stessa determinazione con la quale impugno quest’arma, che non soltanto vi convincerà del mio attaccamento alla causa ma farà andare di traverso la colazione ai democratici – che è un risultato da non trascurare in tempi di estrema polarizzazione ideologica. Non è soltanto necessario galvanizzare il proprio schieramento, è necessario anche far scattare l’altro di sdegno. Il risultato di tutti questi candidati con fucili a tracolla è un sapore mediorientale da propaganda jihadista ed è probabile che non fosse l’effetto voluto.
A settembre Marjorie Greene, deputata repubblicana al Congresso, colpiva con un fucile Barrett un’automobile ferma che secondo lei avrebbe dovuto simboleggiare “il socialismo”. Il Barrett è uno dei più potenti fucili da guerra in circolazione, roba che i cecchini militari usano contro i blindati a un chilometro di distanza. La Toyota Prius centrata da Greene, che forse ha la colpa di essere ibrida e quindi di sinistra, saltava in aria. Greene aveva già fatto due spot, uno con un fucile d’assalto a canna corta e un altro con un fucile da cecchino – in quest’ultimo proclamava di essere il peggior incubo della Squad, quindi dell’ala più progressista dei democratici. A ottobre la candidata a governatore del Nevada, Michele Fiore, impugnava una pistola a due mani, sparava e diceva di essere “pronta al combattimento”.
Da due giorni al Congresso c’è polemica contro Paul Gosar, repubblicano dell’Arizona, che su Twitter ha messo un video in stile anime giapponese nel quale con una spada colpisce a morte un personaggio con il volto della deputata democratica Alexandria Ocasio-Cortez e poi vola verso un gigantesco presidente Joe Biden. In questo caso il simbolismo non è più contro i problemi, è direttamente contro le persone. Le parti in stile cartone animato sono mescolate a immagini di migranti che varcano il confine americano e di guardie di frontiera. La prima critica a questa roba in realtà attiene all’estetica: sono filmati montati in economia e con il gusto di un undicenne di venti anni fa, destinati a una breve circolazione sui social e a farsi notare. Nulla a che vedere con l’epica curata bene degli spot politici ufficiali.
La seconda critica riguarda il messaggio: a molti vedere un personaggio con la faccia di Gosar prendere a fendenti sul collo Ocasio-Cortez non farà alcun effetto, ma l’intento è aggressivo, il contenuto truculento, l’idea è violenta. C’è chi prenderà la metafora alla larga – Gosar lotta contro i democratici – e c’è chi la prenderà troppo alla lettera: i democratici vanno colpiti, è cosa buona e giusta. Sarebbe bello credere che la prima interpretazione prevarrà e la seconda non condizionerà nessuno, sappiamo che non sarà così.
Cose dai nostri schermi