Sull'immigrazione in Ue ha vinto Orbán

Micol Flammini

Lungo il confine con la Bielorussia è venuta fuori la vera politica migratoria di Bruxelles. Gerald Knaus racconta le tre opzioni che hanno gli europei per affrontare i nuovi flussi

Esporre le proprie debolezze è uno dei difetti dell’Unione europea. In questi giorni, reagendo con grande allarme alla crisi creata artificialmente ai suoi confini dal dittatore bielorusso, Aljaksandr Lukashenka, ancora una volta ha fatto vedere tutte le sue difficoltà nell’affrontare un argomento come l’immigrazione. L’Ue non soltanto ha subìto il ricatto di Lukashenka, ma ha anche deluso venendo meno ai suoi diritti e princìpi. Gerald Knaus, architetto dell’accordo sull’immigrazione con la Turchia e fondatore del think tank Esi, è molto duro con la strategia che l’Ue ha messo in pratica in questi giorni lungo il suo confine: “I 27 stanno sostenendo una politica che è contro la convenzione dei rifugiati – dice al Foglio – non hanno contestato i respingimenti della Polonia. Il senso di questa strategia è: se non fermiamo i flussi ora, peggioreranno e così i paesi  sostengono la Polonia che tratta le persone come delle armi. Ora però tutto questo ha posto l’Ue di fronte a un problema umanitario: se vuoi evitare che i migranti si trovino in condizioni disumane, devi negoziare con Lukashenka, che non aspettava altro: a questo serviva il ricatto”. A negoziare con il dittatore è stata la cancelliera tedesca Angela Merkel, che con le sue due telefonate ha fatto sentire Lukashenka un leader  riconosciuto. Per tutta risposta ieri Minsk ha diffuso la notizia falsa che la Germania avrebbe accolto   duemila migranti tra quelli che si trovano ora in Bielorussia attraverso l’apertura di un corridoio umanitario.  

  

 

La non-strategia che l’Ue ha appaltato alla Polonia serve come avvertimento, per scoraggiare, e perché nessuno dei 27 aveva idee migliori. Knaus è molto radicale e suggerisce che non è corretto dire che l’Ue non ha una politica migratoria, ce l’ha ed è quella proposta da Viktor Orbán nel 2015: “Il premier ungherese suggerì di trattare l’immigrazione come un attacco militare, non voleva Frontex ma i soldati. E’ quello che sta accadendo in Polonia. Per il momento Orbán, che si è messo di traverso a ogni tentativo di trovare un compromesso,  ha vinto il dibattito e piano piano tutti si sono allineati. Per cui l’Ue ha una politica migratoria comune, ma non è una politica umana”.

 

Knaus sostiene che l’Ue abbia tre opzioni per gestire l’immigrazione: lasciare le frontiere aperte e sarebbe in linea con le leggi sui rifugiati, “ma non c’è un solo governo che la appoggerebbe”; la politica dei respingimenti che  vediamo applicata in questi giorni. E infine la cooperazione: “Mantenere il diritto di asilo ma limitando l’immigrazione irregolare coinvolgendo altri paesi con offerte che siano morali. È un’opzione complessa e non sempre popolare” e le offerte non possono essere fatte a tutti i paesi.

  

È quello che Margaritis Schinas, commissario europeo, aveva iniziato a fare la scorsa settimana cercando di coinvolgere i paesi in cui transitavano i migranti. Ma soprattutto è quello che è stato fatto con la Turchia. Knaus difende con forza la dichiarazione con Ankara, dice che non ha reso l’Ue più ricattabile perché non è nata da un ricatto – il ricatto semmai c’è stato nel febbraio del 2020, dice l’esperto – ma non sarebbe applicabile con Minsk. “La Turchia era un paese pieno di profughi nel 2015 che ha detto a Bruxelles che non era suo dovere fermare le persone alla frontiera. L’Ue le ha fatto un’offerta di cooperazione. Dare i soldi alla Bielorussia sarebbe diverso, questa situazione l’ha creata Lukashenka. C’è molta differenza tra il fare un’offerta  a uno dei paesi con più rifugiati al mondo e farlo a un paese con un governo che non è stato neppure riconosciuto. Come è diverso dare del denaro alla Turchia e darlo alle milizie libiche”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)